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7 novembre 2011 1 07 /11 /novembre /2011 14:14

110813liberta-spread

Spread: nuovo termine tanto in voga oggi. In italiano si dovrebbe chiamare “margine” o “guadagno”, o “cresta” (nel senso di “fare la cresta” ai soldi emessi senza riserva) ed i nostri “creditori” (i banchieri) farebbero un’opera di bene se lo spiegassero perché così parlerebbero di monetaggio, cioè della “spesa che occorre per creare moneta” (Vocabolario Zingarelli), che invece deve restare tabù. Chiamandolo “spread” invece fondano su questo inglesismo neolinguistico alla Orwell la loro ricca sopravvivenza. In parole povere - anzi bisognerebbe dire in parole adatte a noi poveri “maiali”, “pigs" o "piigs", dato che è così che questi nostri “creditori” ci considerano, come del resto considerano tutti i Paesi della periferia della cosiddetta eurozona - lo “spread” non è altro che “il di più” che ogni banca decide di aggiungere al costo della propria mercanzia, anche se questa è per lo più elettronica, e dunque priva di costi rispetto alla banconota cartacea. Il principio non è

diverso da quello commerciale: vi è un negoziante (la banca) che compra un prodotto (il denaro) da grossisti (banche più grosse) emittenti cioè aventi il monopolio di emettere soldi a macchinetta (non in base al PIL come si crede, dato che prima ci vogliono soldi, produzione e mercato per generare PIL e non viceversa) senza alcuna garanzia del loro valore, i.e.: senza riserva aurea, e legittimate in ciò a suo tempo dalle nazioni (non dai nativi, ignari) fino al punto della loro completa indipendenza ed autonomia rispetto alla propria logistica giurisdizione. Per fare un esempio di casa nostra, l’indipendenza della Banca d'Italia risale al luglio 1981 (G. Santoro, “Il tabù della banca centrale”, cap. 3° de "Banchieri e camerieri", Milano, 1999), così che dal 1981 le cose sono talmente degenerate che si può tranquillamente dire che oggi sono le banche a far fallire gli Stati. Dunque si compra dal “grossista” (banca centrale) a un prezzo all’ingrosso detto “tasso interbancario” e lo si rivende al cliente facendo la cresta, che è appunto lo “spread”! Questa aberrazione è norma! E la giustificazione è che “la banca ti presta soldi in cambio di garanzie ma la gestione e i rischi dell’operazione sono a carico suo e quindi vuole guadagnarci qualcosa” (M. Fratini - L. Marconi, "Vaffanbanka!", Padova, 2009). Insomma oggi lo “spread” è di moda e neanche ci si rende conto di cosa vi sia dietro questa aberrazione. Oltretutto la prassi vuole che questo “spread” sia agganciato all’“euribor” (altro termine occulto), che vorrebbe essere un indice imparziale e affidabile del “costo del denaro”. Se si ragionasse ancora con sano buon senso - cosa che ormai pare essersi persa - si potrebbe percepire senza bisogno del parere di tanti fasulli esperti, che il costo dei soldi è una stonatura, dato che essi dovrebbero permettere l’acquisto di cose “che costano”, ma non “costare” essi stessi se non come mere spese di tipografia (e solo per i soldi cartacei). Se oggi oramai tutto è elettronico, dov’è allora il costo del denaro? Non esiste. Eppure il “debito” esiste, ma è quello della banda Bassotti, anzi “Tassotti”, dato che serve poi ai politici come pretesto per spennarci, appunto, attraverso le tasse. 

Come dice il suo nome per esteso “euro interbank offered rate”, l’“euribor” è il tasso medio calcolato in euro mediante il quale le banche europee fanno affari tra loro. Sarebbe insomma un termometro sedicente fedele per chi parte dal presupposto che nessuno meglio delle banche sappia comprare e vendere soldi. Ciò sarà anche vero, però affidarsi all’“euribor” è un po’ come affidarsi alla Goldman Sachs che “consigliava il governo greco e nello stesso tempo lo attaccava” (Jean Quatremer, giornalista di “Libération” in "Debitocrazia", il film documentario dei giornalisti Katerina Kitidi e Aris Hatzistefanou sulla crisi; http://youtu.be/R3SxvKX3uW0). Ecco perché l’“euribor” è oramai croce e delizia di ogni mutuo a tasso variabile, e l’atto di mutuo è diventato come un atto di fede nella religione della troika “UE - FMI - BCE”, dalla quale ogni Nazione dovrebbe liberarsi se non vuole essere catastroficamente schiavizzata! Credo pertanto che sia giusta l’idea proposta da quel film: creare comitati civici per l’annullamento del debito italiano (o per la moratoria dello stesso, “moratorium on debt service”) dichiarandolo non solo illegittimo ma “detestabile”. Nel corso della storia, spiega il documentario, decine di paesi hanno rifiutato con successo di pagare debiti dei quali i cittadini non erano responsabili, ed il diritto internazionale offre spesso strumenti utili a tal fine, come appunto la nozione di "detestabile” riguardo al debito. Esiste una storia precisa della giurisprudenza di questo concetto scoperto negli anni ’20 dall’esperto di diritto e ministro russo Alexander Sack. Tre sono i requisiti per dichiarare detestabile un debito e che quindi non va pagato: 1) il governo del Paese deve aver conseguito il prestito senza che i cittadini ne fossero consapevoli e senza il loro consenso; 2) i prestiti devono essere stati utilizzati per attività che non hanno beneficiato la cittadinanza; e 3) i creditori devono essere al corrente di questa situazione e disinteressarsene. Le proposte di Sack servirono agli interessi degli Stati Uniti, i quali si confrontarono con la necessità giurisprudenziale di “debito detestabile” fin dal 1898, quando vinsero la guerra ispano-americana e poterono annettere Cuba e non avevano intenzione di pagare per gli errori dei regimi precedenti. Decisero dunque che il debito di Cuba era “detestabile” e si rifiutarono di pagarlo. Una storia simile avvenne anche in Messico, pochi decenni dopo. La maggior parte di esempi di “debito detestabile” del 19° secolo e degli inizi del 20° sembrano riguardare i paesi sottosviluppati del continente americano ma, in realtà, dietro tutte le decisioni di non ripagare i debiti si trovava una superpotenza in ascesa: gli Stati Uniti. E fu questa stessa superpotenza ad accompagnare la nozione di “debito detestabile” nel 21° secolo. Obama ha recentemente affermato infatti: "Penso che sarebbe un errore lasciare che l'Iraq continui a portare il peso degli errori di un dittatore ormai deposto". Gli USA continueranno ad “aiutare” l'Iraq e a cancellare vecchi debiti? Sembra dunque di sì. Nessuno però a Washington vuole sentir pronunciare le parole "debito detestabile”… Ovviamente formare commissioni civiche in grado di indagare anche sulla “detestabilità” del nostro debito italiano non dovrebbe provenire dall’alto ma dal basso, dagli scrittori, artisti, ecc., perché almeno si sappia che pagare un debito immorale è immorale. Faccio allora un appello anche a Jovanotti che cantava “cancella il debito”: si faccia coraggio e lo canti ancora ma per l’Italia e non solo per il Paesi del Terzo Mondo.

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5 novembre 2011 6 05 /11 /novembre /2011 11:17

tasso-tassa-fisco-spesa_bancaria.jpgSiamo in crisi in quanto specie animale, vale a dire bestie che accettano come normale l'usura, cioè il pagamento di tassi (http://vimeo.com/31590864) di interesse per avere prestiti. Se invece la specie animale si evolvesse in specie umana mediante individualità cosciente, non saremmo in crisi in quanto accetteremmo come normale il divieto cristiano dell'usura (cristiano nel senso di umano). 

- Secondo Aristotele, la moneta è un semplice mezzo di scambio da cui non si può ricavare altro denaro (nummus non parit nummos): serve per misurare il valore degli oggetti scambiati.

- "La moneta [...] è stata in primo luogo inventata per gli scambi; il suo uso naturale e primo è dunque di essere utilizzata e spesa negli scambi. Pertanto è in sé ingiusto ricevere un prezzo per l'uso del denaro prestato" (Tommaso d'Aquino, "Somma teologica, IIª, IIae, q.78). 

- "Prendere un'usura per del denaro prestato è in sé INGIUSTO, poiché si vende ciò che non esiste, attuando manifestamente, con ciò, una DISUGUAGLIANZA contraria alla GIUSTIZIA" (Ibid). 

- "È usura tutto ciò che viene richiesto in cambio di un prestito oltre al prestito stesso; riscuotere un'usura è un peccato (Urbano III, "Consuluit" decretale, inserita nel Codice di diritto canonico, 1187). 

- "Usura est plus accipere quam dare": "Usura è prendere più di quanto si sia dato" (S. Ambrogio, "Breviarium in Ps. LIV, Patrologia Latina XVI, col.982); 

- "Usuram appellari et superabundantiam quidquid illud est, si ab eo quod dederit plus acceperit": "Si ha usura quando si richiede più di quanto si da'" (S. Girolamo, "Decreto" di Graziano, c.14, q.3, c.4.). - "Signore, chi abiterà nella tua tenda? [... Colui che] presta denaro senza fare usura" (Salmo XV).

In verità il tasso è misura... anticristiana. Ciao bestie!

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2 novembre 2011 3 02 /11 /novembre /2011 12:20

Video per i morti dentro: http://vimeo.com/31475402

Data di creazione del video: 2 novembre 2011.

Se il signoraggio non esiste a priori... esisterà a posteriori, cioè per i morti... 

Domanda per i libertari saputelli neo-peripatetici (nonché alquanto patetici): se è vero che il signoraggio è un falso problema o che il signoraggio non esiste a priori, che cos'è lo spread tra il costo di produzione delle banconote (carta e stampa) e il valore facciale delle stesse?

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1 novembre 2011 2 01 /11 /novembre /2011 11:43

Nereo Villa 31 ottobre 2011Nel vangelo di domenica prossima (6 novembre 2011) si parla della parabola dell'olio delle dieci vergini, cinque delle quali sono stolte. Eccola:

"Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora" (Matteo 25, 1-13).

Se una volta nella storia della chiesa si fosse spiegato il senso di questa parabola, la chiesa non sarebbe divenuta quello che è: un'intercapedine mafiosa fra lo Stato-mafia e un sistema finanziario (bancario e monetario) assassino. Questa mia valutazione emergerà nel corso della spiegazione della parabola con sempre maggiore chiarezza.


Innanzitutto occorre farsi alcune domande: che razza di regno è quello in cui si impone da ogni invitato una lampada accesa? Si suppone che quel luogo non sia illuminato, dato che ciascuno deve portare egli stesso la luce. Ma non basta una lampada per tutti? E perché invece lo sposo è così crudele da non esitare a chiudere la porta in faccia alle cinque vergini sprovviste di olio e che, tuttavia, gli sono andate incontro? Il loro peccato è dunque così grande da meritare una tale punizione? Che buzzurro questo sposo, che sveglia tutti in piena notte e lascia fuori cinque povere giovani col pretesto che non hanno olio nella loro lampada! Vale veramente la pena di aspettare un simile pirla, che fa tanto casino per un po' d'olio? Inoltre, che razza di saggezza è quella di chi, anziché donare un po' d'olio a chi non ne ha, lo manda al mercato ("andate piuttosto dai venditori") come se il mercato fosse la risposta a tutto?
 

Dunque come si può spiegare un regno dei cieli in cui i saggi e gli sposi sono così buzzurri?


L'unica spiegazione può dunque essere simbolica. L'olio deve quindi simboleggiare qualcosa di talmente individuale che non può provenire da fuori di noi. La chiesa predica il Cristo da 2000 anni senza spiegare che la parola "Cristo" era un termine tecnico per indicare qualcosa che non può provenire da fuori di noi. Ora, fra tutte le parole di tutti i vocabolari di ogni lingua, ve ne è una sola che non può essere usata per indicare qualcosa che è fuori di noi.

 

Questa parola è "io" ed ha la funzione di indicare sia l'interiorità di ognuno sia anche il vero potere di ogni individualità.

 

Ogni individualità, grazie alla sindéresi della propria coscienza ("sindéresi", questa parola è quasi del tutto sparita pergino dai vocabolari!) sa discernere fra cattiveria e bontà, ingiustizia e giustizia, odio e amore, stoltezza e saggezza, menzogna e verità, e trasformare le prime nelle seconde. Cosa sono cattiveria, bontà, ingiustizia, giustizia, odio, amore, stoltezza, saggezza, menzogna e verità, se non dieci qualità come dieci sono le vergini, cinque delle quali rappresentano le virtù e le altre i difetti corrispondenti?


Siamo allora di fronte qui a un'altra domanda: la natura dell'uomo è buona oppure è cattiva?

 

In quanto specie animale è cattiva, mentre è buona in quanto individualità che supera la specie. Ecco perché il termine tecnico per indicare l'individualità in quanto specie superiore ad ogni altra specie era quella detta del "figlio dell'uomo". Con questo termine si indicava l'io umano, immateriale in quanto non proveniente da carne o sangue, e quindi spirituale in quanto in grado di riconoscere la divino-umanità (Matteo 16,17).

 

L'individualità umana è tale in quanto supera i legami di specie. Se ne libera.

 

Se non se ne libera non si può parlare di individualità, dato che permane qualcosa d'altro nell'uomo: l'esemplare della specie, il gregario, l'uomo di parte o di partito, ecc., praticamente il buzzurro che non ne vuol sapere di ragionare, dato che anche il ragionare presuppone il pensare come antimateria o come forza spirituale universale. In tal caso l'uomo rimane incompleto. È un uomo a metà in quanto il figlio dell'uomo in lui, cioè il suo io, non opera liberamente in lui.
 

Prima o poi però questo uomo incompleto è costretto a sperimentare una grande delusione: tutto ciò in cui credeva crolla; se credeva nelle istituzioni dello Stato, si accorge di essere da queste abbandonato; non solo! È abbandonato da tutti: dagli spiriti del popolo, della stirpe, della razza, dei partiti, ecc., e deve sperimentare su di sé il non-valore di ogni addomesticamento ricevuto. Si pensi per esempio a quello  proveniente dalle scuole dell'obbligo verso il senso di Stato, il senso della legalità, il senso delle istituzioni di Stato, ecc., tutte "cagate pazzesche" direbbe Fantozzi!

 
Una simile delusione non sta forse avvenendo proprio oggi con la crisi dell'economia... dei buzzurri? (Se avete tempo, e voglia di farvi anche una risata, guardate questo video
http://vimeo.com/29476400).

 

In ogni caso, solamente un buzzurro può rispondere al suo prossimo meno abbiente: "Ti manca quella data cosa? Vai al mercato"!
 

È dunque evidente che nella parabola delle dieci vergini lo sposo è qualcuno che deve venire, cioè qualcosa che non si può comprare al mercato, in quanto viene sotto forma di luce, immaginativa, ispirativa, intuitiva. E che cosa è? È l'io umano.

 

È l'io che viene, immateriale, non minerale corpo fisico. E la luce delle lampade è la luce di ogni io, resa immaginativamente percepibile con l'olio dell'unzione messianica. Un'altra immagine di questa luce è quella di pentecoste, quando le fiammelle sul capo di ognuno simboleggiano lo Spirito Santo...

 
Da ogni iniziazione o scuola misterica è risaputo che se l'uomo non impara a morire nella sua vita (morire alla pseudo-vita della cattiveria, dell'ingiustizia, dell'odio, della stoltezza, e della menzogna) condizionata dai legami della specie, perisce nella morte: con la morte del suo corpo fisico, in seguito alla rottura dei fili di congiunzione fra pensare, sentire e volere, si dissolvono anche tutte le nozioni che egli crede avere fatto proprie ed ogni pensiero che crede sua proprietà.
 

Da ogni iniziazione o scuola misterica è altresì risaputo che durante il trapasso l'uomo volge indietro lo sguardo su tutte le vicende dell’educazione passata, come si potrebbe guardare una casa che si sta sgretolando nei suoi singoli mattoni, e che si deve ormai riedificare in nuova forma.
 

Ecco perché nella parabola delle vergini stolte/sagge è indicato, per chi ha orecchi per intendere, che solo la crescita interiore produce quell'"olio" che non si compra al mercato, né si perde, nemmeno col trapasso. Invece il non impegnarsi a crescere comporta che nessuno, neanche una divinità ci possa aiutare, e che infine si perda anche il (troppo) poco che si era conquistato.

 

Questa è la vera dinamica del regno dei cieli: a tutti è data la possibilità dello Spirito Santo, cioè dell'universalità del pensare. Nessuno è a ciò obbligato da alcuna scuola dell'obbligo. Chi vuole restare buzzurro ed avere come suo unico dio il mercato, nessuno lo obbliga a cambiare idea, però quando sta per morire non può comprare lo Spirito Santo al mercato, Spirito Santo che oltretutto ha sempre avversato in vita. Mi sembra giusto.


Maledire chi rimane diverso come l'olio in contatto con l'acqua è tipico del buzzurro, il quale vorrebbe omogeneizzare tutti, anche e soprattutto coloro che non vogliono mescolarsi a lui. Allora incomincia a frullarli con energia e insistenza crescenti. Ma anche se frulli l'olio con l'acqua, l'olio della ragionevolezza torna sempre a galla. Allora il buzzurro inizia a fare scongiuri contro la magia della resistenza umana, che definisce schiava del maligno e, se ne è capace, prende le armi contro di loro perché non tollera chi si dimostra sicuro di quanto afferma. Questa non tolleranza è il libero arbitrio del buzzurro, l'ideologia libertaria, creduta libertà.

 

O libertario buzzurro che non vuoi saperne di ragionare, non avere paura dell'io! Non avere paura di te stesso!

 

Non bisogna avere paura dell'io , o bestie! (http://vimeo.com/31421556)

 

La nascita verginale del "figlio dell'uomo" da parte della natura umana, il senso della nascita del Cristo in quanto involucro (sinderesi) dell'"io sono" nell'uomo, fa parte della storia sacra dell'uomo! Ciò è verificabile attraverso la percezione di un rapporto di equivalenza fra la storia dell'individuo e quella dell'umanità. Infatti, tanto nell'infanzia dell'umanità quanto in quella del bambino si passa dalla consapevolezza di sé in terza persona a quella in prima persona. Troviamo testimonianza di ciò nei testi più antichi: come quella di cinquemila anni fa in cui il faraone Azoze, V dinastia, circa 2900 a.C., diceva "La mia maestà ha visto" (G. Farina, "Grammatica della lingua egiziana antica", Ed. Hoepli, pag. 183 e 184), anziché dire "Io ho visto". Allo stesso modo, duemila anni fa, la "madre" dice ancora "l'anima mia magnifica il Signore", anziché dire "io magnifico il Signore" (Luca, 1,46).

 

Il senso del "Magnificat" è da questo punto di vista una importantissima testimonianza, regolarmente omessa dalla predicazione della chiesa sulla nascita dell'io nell'umano! Fatto molto grave questo, dato che nella misura in cui si prova a ripercorrere all'indietro le antiche forme di autocoscienza dell'umanità, dal tempo dell'avvento del "figlio dell'uomo" fino ai primordi, oltrepassando i tempi dell'essenziale esigenza mosaica di un dio che dica di se stesso "Io sono l'Io sono" (Esodo, capitolo 3, versetti 13-16), fino ai tempi prediluviani, è percepibile come l'umanità tenda ad indicare se stessa sempre in terza persona singolare, come gli infanti quando, prima di scoprire la parola "io", indicano se stessi servendosi del proprio nome.

 

Ovviamente, qui non si tratta di una percezione materiale simile a quella che si ha di un cotechino, perché qui - a parte i pochi documenti antichi rimasti - la materia percepibile è poca. Si tratta dunque di percezione soprasensibile, vale a dire di intuizione, veggenza spirituale, che abbisogna, appunto di luce e quindi di "olio" per la "lampada" del nostro comprendonio. E questa è la stessa veggenza spirituale che permetterà a Rudolf Steiner la seguente affermazione: "La terra degli Atlanti era quella che la mitologia germanica designa con i nomi di "Niflheim", "Nebelheim", "Wolkenhein", terra delle nebbie. [...] Il continente atlantico venne sommerso a seguito di una serie di diluvi nel corso dei quali l'atmosfera terrestre si rischiarò. Solo in seguito si videro il cielo azzurro, i temporali, la pioggia e l'arcobaleno. Per questo dice la Bibbia che, dopo che l'arca di Noè aveva toccato terra, l'arcobaleno divenne il nuovo segno del patto fra Dio e gli uomini. [...] Solo allora l'uomo iniziò a chiamarsi "io". Gli Atlanti parlavano di se stessi in terza persona" (Rudolf Steiner, "Kosmogonie", Opera Omnia n. 94, R. Steiner Verlag, Parigi, 26 maggio 1906; cfr. anche R. Steiner, "I manichei", Ed. Antroposofica, Milano 1995).

 

La vita dell'io in terza persona si è fatta sentire fino nel "plurale maiestatis" degli ultimi papi, perché sempre la vita di un periodo precedente diviene la forma di quello successivo. È una legge evolutiva che si esprime qui.

 

Il male non consiste nell'evoluzione, ma nel non voler tenerne conto!

 

La nuova forma sociale, la nuova moneta, non è l'euro né ogni altra diavoleria imposta forzosamente dall'alto. Ciò che è alto è l'io, e solo l'io, e dunque la sovranità dell'individuo, da cui scaturirà il Reddito di Base per tutti dalla nascita alla morte, secondo la triarticolazione dell'ordine sociale, cioè secondo il sabato per l'uomo di cui parlava Gesù.

 

Anche la moneta di oggi non è chiara ed abbisogna di essere illuminata dalla "lampada" del comprendonio, dato che gode di privilegi non goduti dalle merci. Perciò è iniqua. Non per altro. Non ci vuole molto a capirlo: la moneta è equa (cioè non iniqua) solo se le si impedisce di stagnare, solo se la si naturalizza, facendola rientrare nel divenire entro lo spazio ed il tempo delle cose, di tutte le cose, e quindi delle merci.

 

Quando l'uomo farà in modo che essa deperisca in modo naturale, come deperiscono le merci quando non sono consumate, allora sarà equo strumento di scambio.

 

Ecco perché, sempre per chi ha orecchie per intendere, nella "liquidità" del mare monetario da cui Gesù fa prelevare moneta fiscale (Matteo 17,27) esiste il vero movimento della vita economica, dato dalle sue necessarie onde, liberatrici da ogni stagnazione e crisi.

 

Oggi dovremmo dire: "Padre nostro liberaci dal male... della stagnazione che è in noi... nel nostro mero emisfero sinistro dell'ideologia che fa gregari, cioè schiavi di idee credute Dio!"

 

Vera stagnazione è infatti quella del cervello malato di coloro che pretendono l'attuazione della neosocietà e della neofiscalità, retrocedendo, attraverso le forme di ieri, attraverso la democrazia che in verità è usurocrazia: forme antiche che generano altre forme antiche, spingendo le persone a formare da un lato fazioni in lotta fra loro, e contemporaneamente a risparmiare, portando i loro soldi in banca... È la follia! Queste persone, altro non sono altro che un'ignara espressione (una delle tante) della "belva feroce" di cui parlava Nietzsche (F. Nietzsche, "Genealogia della morale", Adelphi, Milano 1995, pag.30-32).

 

È proprio nell'intimo di questa follia che tale bestia giace, avida di vittoria:

"la belva deve di nuovo balzar fuori, deve di nuovo rinselvarsi - aristocrazia romana, araba, germanica, giapponese, eroi omerici, vichinghi scandinavi - tutti sono eguali in questo bisogno. [...] È ancor sempre una ripercussione di quell'inestinguibile terrore con cui l'Europa, nel corso dei secoli, ha riguardato la furia della bionda bestia germanica [...]. I discendenti di ogni schiavitù europea e non europea e di ogni popolazione pre-ariana in particolare - costoro rappresentano la retrocessione dell'umanità [Essi] sono un obbrobrio per l'uomo [...] un elemento demoniaco..." ("I manichei",  cit.).

Ma il male dovrà essere espulso dalla corrente dell'evoluzione universale come una scoria:

"Dominano i mali, testimoni d'egoità che si libera per colpa altrui d'egoismo, vissuta nel pane quotidiano, in cui non domina la volontà del cielo, da quando l'uomo si separò dal vostro regno e obliò il vostro nome o Voi, Padri nei cieli" (dall'antico "Padre Nostro": Rudolf Steiner, "Il quinto vangelo", Ed. Antroposofica, Milano, 1989).

Scriveva il librettista l'arquatese Luigi Illica:

"[...] Bestemmiando il suolo che l'erario a pena sazia [...] fui soldato e glorioso affrontato ho la morte che, vile, qui mi vien data. Fui letterato, ho fatto di mia penna arma feroce contro gli ipocriti" (Luigi Illica, "Andrea Chénier. Dramma di ambiente storico", Ed. Casa musicale Sonzogno, Milano, 1978).

L'azione di questo dramma si svolge in Francia fra il 1789 ed il 1794. In piena rivoluzione francese dunque! Inutile, come ogni rivoluzione in cui la dolcezza e la non violenza non siano ancora divenute il fondamento vero del procedere dell'io.

 

Prima sono i poeti ad accorgersene, gabbiani discepoli dell'aria, che apprendono l'arte del volo... Poi tutti i piloti di se stessi, incominciando dai più increduli nei confronti di sé. Allora incomincia ad apparire la vera struttura dell'ordine universale delle cose, mostrando le vere dinamiche di uguaglianza, fraternità e libertà a cui nessuno, materialista o spiritualista, può sfuggire.

 

In un modo o nell'altro le torri dell'iniquità devono cadere come le torri gemelle o diventare sempre più leggere:

"iugum enim meum suave est et onus meum leve est", "il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Matteo 11,30).

E tutte queste cose le scopri il giorno in cui si desta in te la consapevolezza dell'io, libero formatore del tuo destino.

"Coloro che hanno a cuore il tema della fraternità e della socialità, allorché lo ameranno al punto da dedicare ad esso la vita, non potranno fare a meno di scoprire che il problema sociale è inseparabile dal problema del karma e che la conoscenza della legge del karma è la forza trasformatrice della società futura" (Massimo Scaligero in Nereo Villa, "Numerologia biblica. Considerazioni sulla matematica sacra", SeaR Edizioni, Reggio Emilia, 1995, cap. V; cfr. anche Nereo Villa, "Il sacro simbolo dell'arcobaleno. Numerologia biblica sulla reincarnazione", SeaR Edizioni, Reggio Emilia, 1998, cap. VII.).

sepolcro.gifEcco perché perfino i sepolcri parlano... La morte non è che una nuova vita...

 

Ecco perché è importante l'avvento dell'io nell'umanità. Ecco perché è importante il "Magnificat" (http://vimeo.com/31364038 ).


Chi ha il coraggio di comprende le parole del "Magnificat" sa che quando il Cristo non era ancora nato la vergine umanità non diceva ancora la parola "io". Gli uomini indicavano se stessi come fanno gli infanti, in terza persona: "Mario ha fame" in luogo di "io ho fame", "L'anima mia (magnifica il Signore...)". Il "Magnificat" testimonia del passaggio dall'umanità antica, che non diceva ancora "io", alla nuova umanità che dice "io". Il rapporto del Cristo con l'io umano è messianico: "Messia" significa "unto". Il Cristo è l'involucro protettivo dell'io dell'uomo, reso splendente se con l'olio si unge il suo corpo.

 

Ecco anche perché nei vangeli, l'unico passo biblico letto da Gesù di Nazaret in sinagoga evoca l'unzione (Luca 4,17-21).

 

Nell'aramaico targumico e talmudico, "mešah" (o mishà) significa sia "olio" che "misura", perché la misura del bene e del male consiste nel contenuto di tale involucro: la coscienza, anticamente detta "sindéresi".

 

La parabola delle 10 vergini è la parabola dell'olio e del 10 che lo contiene come fortuna per la vergine umanità nella prima lettera Yod del nome del Padre (Yhwh). "Yod" è anche detta nel "Sefér Yetzirah" (Libro della formazione dell'universo) "lettera zodiacale della Vergine".

 

Il valore numerico della lettera Yod è 10. In greco "Yod" è lo "iota", la lettera più piccola dell'alfabeto, simile a un apice o a un accento, di cui Gesù predicava l'importanza (Matteo 5,8).

 

Gli accenti sono importanti.

 

Per esempio, chi oggi parla di "economia" non tenendo conto del diverso accento greco fra "nòmos" e "nomòs" predicherà la "nomia" di "economia" come legge (nòmos) anziché come pascolo (nomòs) presupponente il "distribuire" ("nomòs" proviene da "nemo", "distribuire") (vedi la pagina "Economia - Etimologia per cervelli non fusi:

http://creativefreedom.over-blog.it/article-economia-etimologia-per-cervelli-non-fusi-87515550.html) solidale, essenza universale dell'economia. E ciò comporterà crisi economica, povertà.

 

Nello "Zohar" si legge: "Come mai il Messia è detto povero? Perché non ha nulla di suo". In ebraico "povero" si pronuncia "anì", esattamente come la parola "io", anche se con una lettera diversa.

 

Anche l'io non ha nulla di suo.

 

E qui sta il mistero dell'universalità del pensare, nuovo progetto conoscitivo portato dall'Unto, cioè dal Cristo, involucro di ogni io umano autocosciente.

 

La parabola delle dieci vergini e dell'olio mancante a cinque di loro parla del mancare in loro della sanità mentale o dello spirito sano (Spirito Santo). Che cos'è? È la facoltà di comprendere l'unitarietà o l'universalità del pensare:

"Chi comprende la parola dello Spirito Santo, comprende che la saggezza è unitaria. Gli uomini però non sono ancora giunti a questo punto; essi dicono pur sempre: questo è il mio punto di vista; secondo me è così, e l'altro può ben avere un punto di vista diverso. Questa visione delle cose deve essere superata. Gli uomini dovettero parcellizzarsi per una fase di egoismo, di affermazione dell'io; e non hanno ancora trovato la via verso la saggezza unitaria. La troveranno in quanto si accosteranno realmente ad essa, dopo essersi individualizzati quanto più è possibile. Quando si sarà acquistato lo spirito unitario della saggezza ci si disabituerà al dire: questo è il mio punto di vista, questa è la mia opinione. Quando si sarà compreso che, rispetto alla saggezza unitaria, non esistono punti di vista particolari, e che l'avere un proprio punto di vista non significa altro che non si è progrediti sufficientemente, solo allora si potrà concepire l'idea dello Spirito Santo. Solo l'uomo imperfetto ha il suo punto di vista. Chi si avvicini allo spirito della saggezza, non avrà più i suoi punti di vista. Egli saprà che deve darsi con abnegazione alla saggezza unica originaria. Come le piante si volgono tutte ad un unico Sole, così gli uomini si uniranno e si volgeranno ad un UNICO spirito, all'unico spirito della saggezza che vivrà in loro. Come dal Cristo sgorgò quel sangue che originariamente aveva unito fra loro gli uomini, così la saggezza si effonderà su di noi congiunti in fratellanza" (Rudolf Steiner, "Il significato storico universale del sangue fluito dalla croce", conf. di Berlino del 25/03/1907).

La vera tragedia del presente deriva dall'assunzione buzzurra del concetto di economia, tutt'altro che universale:

"La cordialità che l'"oikonomia" presuppone è spenta nella testa di chiunque e l'intento fraterno si riduce pertanto a ideologia. Di qui il paradosso: non c'è fraternità economica per i moderni che non indica un'avversione o una doppia morale" (G. Alvi, "Il capitalismo. Verso l'ideale cinese", Venezia, ottobre 2011).

 

In "oikonomia", la vera casa, "oikos", della fraternità è simbolicamente Betlemme, che etimologicamente significa "Casa del pane", pane che sarà poi distribuito, appunto, da Gesù nell'ultima cena... 

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31 ottobre 2011 1 31 /10 /ottobre /2011 12:46

http://vimeo.com/31364038

Chi comprende le parole del "Magnificat" sa che quando il Cristo non era ancora nato la vergine umanità non diceva ancora la parola "io". Gli uomini indicavano se stessi come fanno gli infanti, in terza persona: "Mario ha fame" in luogo di "io ho fame", "L'anima mia (magnifica il Signore...)". Il "Magnificat" testimonia del passaggio dall'umanità antica, che non diceva ancora "io", alla nuova umanità che dice "io". Il rapporto del Cristo con l'io umano è messianico: "Messia" significa "unto". Il Cristo è l'involucro protettivo dell'io dell'uomo, reso splendende se con l'olio si unge il suo corpo. Ecco perché nei vangeli, l'unico passo biblico letto da Gesù di Nazaret in sinagoga evoca l'unzione (Luca 4,17-21). Nell'aramaico targumico e talmudico "mešah" (o mishà) significa sia "olio" che "misura", perché la misura del bene e del male consiste nel contenuto di tale involucro: la coscienza, anticamente detta "sindéresi". La parabola delle 10 vergini è la parabola dell'olio e del 10 che lo contiene come fortuna per la vergine umanità nella prima lettera Yod del nome del Padre (Yhwh). "Yod" è anche detta nel "Sefér Yetzirah" (Libro della formazione dell'universo) "lettera zodiacale della Vergine". Il valore numerico della lettera Yod è 10. In greco "Yod" è lo "iota", la lettera più piccola dell'alfabeto, simile a un apice o a un accento, di cui Gesù predicava l'importanza (Matteo 5,8). Gli accenti sono importanti. Per esempio, chi parla di "economia" non tenendo conto del diverso accento greco fra "nòmos" e "nomòs" predicherà la "nomia" di "economia" come legge (nòmos) anziché come pascolo (nomòs) presupponente il "distribuire" ("nomòs" proviene da "nemo", "distribuire") solidale, essenza universale dell'economia. E ciò comporterà crisi economica, povertà. Nello "Zohar" si legge: "Come mai il Messia è detto povero? Perché non ha nulla di suo". In ebraico "povero" si pronuncia "anì", esattamente come la parola "io", anche se con una lettera diversa. Anche l'io non ha nulla di suo. E qui sta il mistero dell'universalità del pensare, nuovo progetto conoscitivo portato dall'Unto, cioè dal Cristo, involucro di ogni io umano autocosciente. La parabola delle dieci vergini e dell'olio mancante a cinque di loro parla del mancare in loro della sanità mentale o dello spirito sano (Spirito Santo). Che cos'è? È la facoltà di comprendere l'unitarietà o l'universalità del pensare: "Chi comprende la parola dello Spirito Santo, comprende che la saggezza è unitaria. Gli uomini però non sono ancora giunti a questo punto; essi dicono pur sempre: questo è il mio punto di vista; secondo me è così, e l'altro può ben avere un punto di vista diverso. Questa visione delle cose deve essere superata. Gli uomini dovettero parcellizzarsi per una fase di egoismo, di affermazione dell'io; e non hanno ancora trovato la via verso la saggezza unitaria. La troveranno in quanto si accosteranno realmente ad essa, dopo essersi individualizzati quanto più è possibile. Quando si sarà acquistato lo spirito unitario della saggezza ci si disabituerà al dire: questo è il mio punto di vista, questa è la mia opinione. Quando si sarà compreso che, rispetto alla saggezza unitaria, non esistono punti di vista particolari, e che l'avere un proprio punto di vista non significa altro che non si è progrediti sufficientemente, solo allora si potrà concepire l'idea dello Spirito Santo. Solo l'uomo imperfetto ha il suo punto di vista. Chi si avvicini allo spirito della saggezza, non avrà più i suoi punti di vista. Egli saprà che deve darsi con abnegazione alla saggezza unica originaria. Come le piante si volgono tutte ad un unico Sole, così gli uomini si uniranno e si volgeranno ad un UNICO spirito, all'unico spirito della saggezza che vivrà in loro. Come dal Cristo sgorgò quel sangue che originariamente aveva unito fra loro gli uomini, così la saggezza si effonderà su di noi congiunti in fratellanza" (Rudolf Steiner, "Il significato storico universale del sangue fluito dalla croce", conf. di Berlino del 25/03/1907). La vera tragedia del presente deriva dall'assunzione buzzurra del concetto di economia, tutt'altro che universale: "La cordialità che l'"oikonomia" presuppone è spenta nella testa di chiunque e l'intento fraterno si riduce pertanto a ideologia. Di qui il paradosso: non c'è fraternità economica per i moderni che non indica un'avversione o una doppia morale" (G. Alvi, "Il capitalismo. Verso l'ideale cinese", Venezia, ottobre 2011). In "oikonomia", la vera casa, "oikos", della fraternità è simbolicamente Betlemme, che etimologicamente significa "Casa del pane", pane che sarà poi distribuito da Gesù nell'ultima cena...  

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30 ottobre 2011 7 30 /10 /ottobre /2011 19:29

Il primo OGM della storia biblica risulta essere la donna: http://vimeo.com/30188817

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29 ottobre 2011 6 29 /10 /ottobre /2011 17:12

Seguimi nel "Consultorio di economia della triarticolazione sociale"

 

ultima-cenaOmelia per cervelli non fusi sull'etimologia di economia

 

L'etimologia di "economia" ha in sé la solidarietà. Fuori da questa solidarietà l'economia è molto pericolosa.

 

La "calamità" è una disgrazia, la "calamìta" è un magnete; il "pànico" è una paura, il "panìco" è una graminacea. Gli accenti contano. "Prendere  bòtte" è diverso dal "prendere una bótte"; la nota musicale "re" è tutt'altra cosa dal "rè" sovrano, ecc. Allo stesso modo l'economia di oggi poggia essenzialmente su regole anziché sulla sua vera essenza che è la solidarietà. Invece le regole, le leggi, dove portano? All'ira. "La legge (nòmos) infatti produce l'ira; dove non vi è legge (nòmos), non vi è neppure violazione" (Paolo di Tarso, "Lettera ai romani", 4,15; vedi anche 3,20; 5,13-20; 7,8-10).

 

Nel quinto volume della "Grande Encyclopédìe" Rousseau riferisce la parola "economia" ai termini greci "oikos", "casa", e "nòmos", "legge", traducendo "oìkonomìa" come "legittimo governo della casa". In tal modo ne sballa completamente l'etimologia, quella stessa accettata per buona dai cervelli incolti degli odierni economisti buzzurri (http://youtu.be/I2neIgnzUIM) che conferisce loro ulteriore e facile pretesto per sparare idiozie su idiozie fino a generare l'odierna crisi economica.

 

Ovviamente nelle universalità odierne l'economia è spiegata con questa etimologia d'accatto e cioè come crescente intento amministrativo di "efficienza" che conosciamo tutti dalla storia!

Le scuole che obbligano a questo superficiale nozionismo ideologico sono università che non poggiano su universalità di pensiero, così che esigono fede, non ragionevolezza; credenza, non vita del pensare.

Se nella testa del nozionista ideologico vi fosse un'apertura per una minima esperienza culturale differente, potrebbe avvedersi del fatto che l'etimologia di "economia" è completamente diversa da quella che crede.

 

Se per esempio il docente di economia delle università avesse davvero letto Omero non potrebbe accettare di insegnare l'economia come "nòmos", legge, dato che in greco non vi è solo il termine "nòmos" con l'accento sulla prima "o", ma anche "nomòs" con l'accento sulla seconda.    

 

nomos


Nell'Odissea ogni questione economica non rimanda forse al pastorale 'nomòs', che significa "pastorizia" o tutt'al più "cura di un gregge da parte di un pastore"? In greco, "pastore" si dice "nomeus"! Ed Eumeo è il nome di un personaggio dell'Odissea, quello ammirato da Omero per la sua generosità, al di là di ogni parsimonia, persino in circostanze difficili, e per il suo agire Omero usa il verbo "némo", che significa "distribuire".    

 

Nel 14° libro dell'Odissea, Eumeo, è appunto il pastore che ospita uno straniero senza sapere che è Ulisse, confermando in ogni suo atto che l'economia, alle sue origini caratterizza, sì, il modo di condurre la casa ("oikos") ma solo in quanto ospitalità generosa, non in quanto parsimonia o calcolo!

Il torto di Rousseau e dell'etimologia prediletta dagli economisti buzzurri è quindi evidente.
 

 

Ma chi si rilegge il 14° libro dell'Odissea può andare ben oltre. Nei versi dal 433 al 438 l'economia del pastore Eumeo è così spiegata da Omero:

 

 "[Eumeo] Si alzò per spartire: perché conosceva la retta maniera. E, spartendo, divise tutto in sette porzioni: ne offrì una alle Ninfe e ad Ermete, il figlio di Maia, pregando; distribuì le altre a ciascuno; onorò Odisseo con l'intera schiena del porco dalle bianche zanne; e rallegrò l'animo del suo signore". 

  

In questi versi "neimen hekasto" significa "distribuire condividendo", coerente alla funzione del "nomeus" Eumeo. Si tratta di un agire solidale, che non abbisogna di calcolo alcuno, in quanto indotto da una "retta maniera" stabilita dal fato, "aisima""Istato daitreuson", "si alzò per spartire", ribadisce qui Omero, dato che neanche il verbo "daizein", "spartire", rimanda al calcolo. "Daizein" ha la stessa radice di "daimon", la divinità che presenzia in ogni uomo. Il condividere riguarda dunque sia gli uomini che gli dei, anzi, ne è inseparabile: riguarda dunque una divino-umanità, che ingloba l'economia in coerenza alle Moire (le divinità del destino). Anche il verbo "dieimoirato" usato per "dividere" proviene dalla stessa radice di "daimon".

 

Il nòmos dell'econòmia buzzurra dovrebbe dunque essere un nomòs! È troppo complicato? Certamente è più complicato di quanto la spenta immaginazione degli odierni economisti possa comprendere. Se ben compreso e compiuto, questo condividere parti divise, non condurrebbe forse alla divino-umanità di cui parlava il filosofo russo Solovi'ev?

 

Non è forse tipico offrirsi reciprocamente da bere nelle osterie? Appena entro in una osteria c'è subito qualcuno che mi accoglie come ospite chiedendomi: "Che cosa bevi?". Ebbene, lì, vive ancora l'economia come dovrebbe essere. Non a caso il termine tedesco per "economia" è "Wirtschaft", che significa anche "osteria"!

 

La sofisticazione dell'economia farà poi perdere la sua vera essenza di solidarietà, presente in Omero. Dunque l'economia non era per nulla riducibile alla sistematicità, che assunse il significato odierno  della parola. In Omero "non esiste ancora un tempo scontato e distribuito, come nel capitale moderno, ma uno spartire sentito ancora divino e solo perciò solidale [il grassetto è mio]. Tuttavia, malgrado la distinzione di Aristotele, l'epoca seguente si disabituò a questa percezione originaria. La sofisticazione dell'atto economico, come la chiamava brillantemente Campbell, avvicinò la parola al suo uso triviale e moderno. «Seguendo Plutarco si può dedurre che la parola venisse usata nel senso moderno di razionale sistematico ordinamento degli affari familiari. Un significato, comunque, già palese nell'uso che della parola fanno Senofonte e Platone»" (William S. Campbell, "Pericles and the Sophistication of Economics", in "History of Political Economy", XV, 1, primavera 1983). 

"Ma ciò non toglie che Omero, poco dopo la scena ospitale che conforta Ulisse, reiteri quest'uso del verbo "nemo", come agire provvidente in un rito. «Il dio darà questo e lascerà quello, come nel suo animo vuole perché egli può tutto. Disse così ed offrì le primizie agli dei eterni e avendo libato pose nelle mani di Odisseo distruttore di città scuro vino: ed egli sedeva, con accanto la propria porzione. Distribuì il pane ad essi Mesaulio» (444-449). Il dio darà, "dosei", perché può tutto, e perciò a Eumeo si rende necessario il "dosis", il dono all'ospite e agli dei, che implica di sacrificare loro il meglio. Perciò, l'avere accanto la propria porzione, di Odisseo, rimanda alle Moire: è "para moire", scrive Omero. Solo alla fine di questo ricevere e ridare in sacrificio le parti agli dei può arrivare dispiegata nel suo senso la distribuzione anche del pane: "siton de sfi eneime". E dire che per la percezione consueta della razionalità economica non si tratterebbe che della spartizione di un maiale cotto...".


La funzione di redistribuzione, sia quella antica che quella odierna, porta un po' di complicazioni. Per lo spartire, il dividere nell'Odissea, si usa, come ho accennato, il verbo "daizein", da cui deriva la parola "daimon", che definisce una divinità, cioè un «nume distributore di sorte favorevole o avversa». Da questo punto di vista la redistribuzione progressista spiegata agli omerici avrebbe, in definitiva, sofferto di qualche difficoltà anzitutto a dirsi. Invece le redistribuzioni di oggi sono spartite senza tenere minimamente in considerazione la sorte, comunque assunta come favorevole, se le redistribuzioni avvengono.

 

Quando invece la redistribuzione è affidata allo Stato, "è burocratica sciagura. Del resto, non c'è atto più complicato del dono individuale, facile a rovinare amicizie e a fraintendersi. Ma almeno gli omerici o le caste indiane sapevano questa complicatezza e la componevano in un sacrificio agli dei".

Alla descrizione omerica è presente perfino la parola "profitto": "Del maiale, poco prima, al verso 415, Eumeo dice: «Ne trarremo profitto anche noi», "pros d'autoi onesometha". Ma l'egoità di questo suo intento viene subito inglobata nel divino: «Il porcaro non trascurò gli immortali, perché aveva un animo pio» (419-420)".

 

E nei versi precedenti non manca neppure la percezione di uno sfruttamento ad Eumeo. Tuttavia Eumeo non attribuisce questo sfruttamento al suo padrone, ma ai proci: "l'insopportabile è la violazione dell'ospitalità da parte dei pretendenti. E di essi egli non si fa complice, come consiglierebbe il calcolo comunista; anzi, da loro si sente sfruttato, tutt'uno in ciò col suo padrone. Il quale lo ricambia: «Zeus ti conceda, o straniero, con gli altri immortali ciò che tu più desideri, perché gentilmente mi accogli». E tu rispondendo, o porcaro Eumeo, gli dicesti: «Straniero, non è mio costume offendere un ospite, neppure se arriva uno meno di te: ospiti e poveri vengono tutti da Zeus. Il dono è piccolo e caro da parte nostra» (53-59).

 

Non esiste in Omero un termine economico che si accordi con l'uso moderno di questo concetto.

La crescita non è più prospera oggi perché è sparito dall'economia il "dosis", il dono all'ospite e agli dei, vale a dire il dono del peculio. Ovviamente ciò non significa che dobbiamo tornare ai tempi mitologici o agli dei. Significa che dobbiamo comprendere il senso scientifico della solidarietà, del dono, e dell'ospitalità, o della vita conviviale come caratteristiche essenziali  reali dell'economia. Altrimenti non sarà mai possibile alcuna prosperità: "Gli dei hanno avvinto il ritorno di chi mi avrebbe voluto un gran bene e data tutta la roba che un padrone d'animo buono da' al suo servitore - una casa, un pezzo di terra, una donna ambita da molti -, a chi tanto fatica per lui, a chi l'opera fa prospera il dio, come anche a me rende prospera questa fatica, in cui duro" (61-66). Rendere prospera proviene da "aechsetai", "accresco", "prospero", che rimanda al latino "augeo"! La prosperità, meglio della crescita o dello sviluppo odierni, è il cosiddetto aumento di stipendio. Ma a chi oggi viene da usare questa parola?

Il peculio si dona. Bastano pochi versi d'Omero e l'economia si svela diversa, e in grado di liberare molteplici percezioni, tutte non riconducibili al capitalismo, anzi opposte, come in Dickens.

 

L'oikonomia non è dunque il calcolo arcaico inefficiente del capitalismo ma un agire che basta a se stesso, oltretutto irriducibile all'efficienza. 
 

L'economia dell'inefficiente calcolo arcaico è quella del pensiero debole, anzi debolissimo, quasi morto. Ecco perché si parla qui di marmorea freddezza. Siamo oramai i cadaveri di noi stessi. Siamo zombi, credenti, creduloni , convinti di avere questo o quel punto di vista, questa o quella opinione. Siamo convinti di essere i creatori dei nostri concetti: crediamo quindi che ogni persona abbia concetti suoi propri. Uno dei compiti fondamentali del pensare filosofico dovrebbe essere, appunto, quello di vincere questo pregiudizio. Allora si supererebbero le strettoie del pensiero debole.

 

Allora si arriverebbe anche al concetto vero di economia. E sicuramente non vi sarebbero crisi.

 

Il superamento del pensiero debole consiste nell'aprirsi all'universalità del pensare, che è spirito di verità, spirito sano e santo. Coloro che non operano liberamente in se stessi tale superamento sono come le cinque vergini che non hanno olio e che nessuno può salvare...

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24 ottobre 2011 1 24 /10 /ottobre /2011 15:10

sua-maesta-la-porcona-dodi-c.jpgO animale sociale o social-libertario,

sempre più animale

e sempre meno sociale,

te lo dico in modo cordiale:

seguimi nel mio 

"Consultorio di economia

della triarticolazione sociale"!!!

 

Libri come "Che cosa è il denaro" di Gary North sono la prova provata di ciò che Platone (Platone, Fedone, [b] XLIX, 101°; Liside, XII, 216b; Teeteto, XVIII, 164c) chiamava antilogica, vale a dire di una filosofia che è l'esibizione di chi si compiace e si esalta dei propri sfoghi egotici attraverso i quali vorrebbe addirittura lievitare verso un egotismo ancora più strampalato, del tipo: "Chi non la pensa come me è un maiale". L'egotismo non è infatti il sano egoismo dell'individualità umana. È anzi il suo contrario: anti-individualità, gregarismo, partitocrazia da Bar Sport.

L'antilogica di cui sopra è anche tipica degli odierni portatori di pensiero debole, poggiante non solo su incongruenze e paradossi, ma su perpetua ripicca. È lo stile di chi fa tutto per ripicca. 

 

Il "capitalismo per ripicca" che ne risulta è un eccesso di prepotenza, un atteggiamento mentale, che vive in rappresentazioni del passato che non esistono se non come risentimento, come se ci si dovesse ancora difendere dal dispotismo comunista o nazista del secolo passato. In quanto non pensiero, ma animosità, emotività, reattività, cioè modo molto strampalato di ragionare, tale antilogica è infine esercizio di buzzurrismo.

Ciò mi fa comprendere, fra l'altro, la seguente frase di Alvi, studioso libertario, anzi libero studioso della triarticolazione sociale (che reputo l'unica vera anarchia consapevole possibile) che alla prima lettura mi aveva lasciato perplesso: "C'è del resto, qualche libertario, che non sia uno strampalato e non deformi, secondo la misura e la mania del suo carattere, il mondo?" (Geminello Alvi, "Il Capitalismo. Verso l'ideale cinese", Venezia, ottobre 2011).

 

01-norh.jpgIl libro "Cosa è il denaro" di Gary North contiene un capitolo il cui titolo è un vero e proprio autogol ideologico. Quel titolo porta in sé le parole "cialtroni monetari", e in quel capitolo si parla di Silvius Gesell come di un cialtrone monetario. In altre parole si da' del cialtrone monetario proprio a chi promosse il decumulo monetario, che avrebbe corrisposto proprio ai requisiti richiesti da North per il denaro. 

 

Gesell aveva descritto un comunitarismo anarchico che implicava decumulo monetario (1). 

 

Cos'è il decumulo monetario? 

 

Decumulo, lo dice già la parola, è il decremento di un accumulo. Ma prima di spiegare il senso di questo concetto in riferimento ai soldi, riporto la definizione di "cialtrone monetario" data dal North  nel suo libro: 

 

"Definisco cialtrone monetario chi propone di applicare al denaro principi diversi da quelli ritenuti validi per tutti gli altri beni economici. Ludwig von Mises accorpava la teoria monetaria nella stessa logica che governa tutti i processi di mercato: si veda La Teoria della Moneta e dei Mezzi di Circolazione. Diversamente, un cialtrone monetario ci racconta come [...] sia necessario ricorrere al denaro creato dal nulla e controllato dal governo".

 

Applicare al denaro principi diversi da quelli ritenuti validi per tutti gli altri beni economici è certamente qualcosa di ingiusto. 

 

E questo dovrebbe valere per tutti. 

 

Quindi si dovrebbe ritenere giusto applicare al denaro (che è un bene economico) gli stessi principi ritenuti validi per ogni altro bene economico. 

 

Il principio di applicare ai beni di scambio i medesimi principi è però anche il fondamento logico dell'idea di decumulo del denaro, perché senza l'applicazione del decumulo al denaro il sopraddetto principio non può affatto attuarsi. 

 

Ora, l'idea del decumulo del denaro di Gesell non è altro che quella data da Rudolf Steiner (2) anche se questa è più concreta in quanto poggia sul riconoscimento di una triarticolazione dei tre massimi poteri sociali (economia, politica, cultura) nella quale il decumulo del denaro è direttamente e consapevolmente connesso all'idea di donor (denaro di dono) per il finanziamento dell'ordine politico, dal quale siano rimosse le gestioni della cultura e dell'economia. L'idea del free banking completa poi la concezione di Steiner, come anche quella di Gesell. 

 

In altre parole, l'idea steineriana di decumulo dei soldi poggia su questo semplice ragionamento: se con un euro acquisto un alimento significa che con un bene (l'euro) mi approprio di un altro bene (l'alimento). Sul piatto della bilancia dei principi  giustamente - non solo per North ma anche per me e per qualsiasi altro che rifletta almeno un po' -  identici per i due beni di scambio vi sta da un lato l'euro e dall'altro l'alimento. Domanda: siamo proprio sicuri che quel principio di uguaglianza dei beni di scambio è realizzato se non si interviene sul denaro? L'alimento se non lo mangi subito perde le sue qualità organolettiche e diventa immangiabile, perché invecchiando marcisce. Non così è per quell'euro. I soldi, anzi, più stanno lì e più generano accumulo. Così almeno siamo abituati a pensarli. Ecco dunque che se non si interviene sul denaro applicandovi l'idea di decumulo, quel principio di uguaglianza, ripeto: giustissimo, non si attua. Dunque senza decumulo cosa si avvera in verità? Si avvera solo che, in base alla definizione di cialtrone data da North, che afferma essere cialtrone "chi propone di applicare al denaro principi diversi da quelli ritenuti validi per tutti gli altri beni economici", il vero cialtrone è lo stesso North, in quanto considera cialtrone proprio Gesell che proponeva di applicare il decumulo al denaro proprio al fine di escludere che si applicassero al denaro "principi diversi da quelli ritenuti validi per tutti gli altri beni economici".

 

Quanto segue sono le parole pronunciate da Steiner nella conferenza di Dornach del 2 agosto 1922 a proposito dell'esigenza del decumulo da applicare al denaro.

 

"[...] nell'organismo sociale che soggiace alla divisione del lavoro [...] dev'esserci un equivalente per ogni prodotto, cioè un valore in denaro che è il prezzo. [...] Eccettuato qualche prodotto di durata relativamente lunghissima, abbiamo a che fare con merci che deperiscono, si svalorizzano, e sempre, dopo un certo tempo, non esistono più.
Invece, strano a dirsi, proprio il denaro è un elemento che, sebbene si trovi in perfetta equivalenza con gli altri elementi economici, non deperisce né si logora. Potremmo
rappresentarcelo radicalmente pensando: io possiedo, poniamo, delle patate per una certa somma; in un modo o nell'altro dovrò dunque provvedere a collocarle o a consumarle. Infatti, di lì a qualche tempo, le patate sono appunto consumate, scomparse. Se il denaro equivale alle merci, alle merci lavorate, dovrebbe anch'esso consumarsi, deperire; il denaro dovrebbe subire lo stesso logorio a cui soggiacciono le altre merci. Vale a dire che, se nel corpo economico il denaro non è deperibile, noi gli creiamo un vantaggio di fronte alle merci deperibili. Ciò è di somma importanza [il grassetto è mio], e lo diventa tanto più se si considerano, da un lato, gli sforzi che io dovrò fare, se oggi posseggo una data quantità di patate, per giungere con l'apporto di tutta la mia attività a raddoppiarla, mettiamo dopo 15 anni (s'intende con quelle patate che ci saranno allora!), e dall'altro lato il poco sforzo che occorre a chi, come singolo individuo, possieda oggi la stessa somma in denaro, per averne dopo 15 anni il doppio!
Basterà che se ne stia con le mani in mano, sottraendo all'organismo sociale tutta la sua forza attiva, e lasciando lavorare gli altri a cui presta il proprio denaro. Se durante tutto quel tempo non provvede lui stesso a consumarlo, il denaro non si consuma certo da sé.
Ma è proprio così che viene introdotto nella compagine sociale molto di ciò che più tardi verrà sentito, diciamo, come errore sociale. [...]" (3).

 

Ed ecco la risoluzione consistente nell'applicazione al denaro dell'invecchiamento e della morte del denaro, o del cosiddetto decumulo:

 

"Non bisogna lasciare semplicemente che il denaro circoli dandogli piena libertà di fare quel che gli pare; in tal modo provochiamo davvero qualcosa di assai singolare nella compagine economica. Se per qualsiasi ragione di lavoro ci occorrono degli animali, prima di tutto li addomestichiamo, e poi li adoperiamo come animali domestici. Pensiamo quanto tempo occorre prima di aver domato un cavallo e di poterlo cavalcare. Che cosa avverrebbe se non ci prendessimo la pena di addomesticare gli animali, ma volessimo utilizzarli nel loro stato selvaggio? Il denaro lo lasciamo invece circolare allo stato selvaggio nel processo economico" (4). 

 

"Sottolineo che non intendo procedere in modo programmatico, ma che intendo dire soltanto come stanno le cose. La mia conoscenza mi dice infatti che non potremo creare un paradiso in Terra attraverso le vie economiche. Non lo si potrà realizzare, e si potranno solo instaurare  le migliori condizioni possibili. [...] Che si sia al di sotto delle migliori condizioni possibili deriva dal fatto che i singoli fattori economici non possono esplicare il loro giusto valore [...] Il denaro deve invecchiare. Il problema è solo stabilire in che modo ciò sia tecnicamente realizzabile. Attuare una svalutazione graduale del denaro aggiungendo alle banconote dei buoni che possano essere staccati in tempi determinati ad opera di un apposito ufficio [...] creerebbe un apparato burocratico complicatissimo. Non si tratta dunque di attuare la svalutazione grazie a misure esteriori del genere, ma di tener presente che il corso reale delle cose determina da sé tale svalutazione. Questo avviene dando semplicemente ad ogni forma di denaro la caratteristica di mezzo di scambio nella misura in cui essa richiede un termine finale. Questo ovviamente non può essere calcolato in astratto, ma sarà stabilito all'inizio con una certa approssimazione, in previsione di un momento determinato. Poi lo si correggerà fino a quando l'equilibrio si stabilirà con un termine eventualmente possibile" (5).

 

Nel seguente brano ho modificato le date aumentandole di cento anni in modo da attualizzarle e facilitare al lettore il processo immaginativo relativo all'ipotesi proposta da Steiner. 

 

"Supponiamo ora di aver introdotto il modo di far invecchiare il denaro; abbiamo una moneta di un qualunque metallo, e di una qualunque data, diciamo del 2010, e un'altra moneta del 2015; supponiamo che, grazie a giudiziosi accorgimenti, la moneta che porta la data del 2015, che fu dunque emessa nel 2015 come denaro d'acquisto, avesse la stessa sorte che hanno di solito i prodotti di consumo, che dopo qualche tempo risultasse svalutata. Diciamo dunque che questo denaro, (naturalmente le cifre che indico sono del tutto secondarie e servono solo per chiarire; ciò che nella realtà dovrà scaturire sarà prima oggetto di calcoli laboriosi e tuttavia raggiungibili, come vedremo in seguito), supponiamo dunque che nel 2040 quella moneta dovesse risultare svalutata per il traffico economico; essa avrebbe dunque un valore ben determinato solo fra il 2015 e il 2040. Se dunque nel processo economico il denaro perde il proprio valore dopo 25 anni, la moneta che porta incisa la data del 2010, perderà il proprio valore nel 2035. In questo modo, se ho in tasca del denaro, io gli attribuisco una determinata durata, gli conferisco una specie di età. Il denaro del 2010 è più vecchio e morirà prima dell'altro denaro del 2015. Si potrà dire che è un programma; ma non lo è affatto; quel che ho esposto fin qui è la realtà; lo stesso processo economico esige che il denaro invecchi, e opera anche in modo che ciò avvenga. Se in apparenza non invecchia e se, con denaro del 2010 si può ancora comperare nel 2040, è solo una maschera dei fatti veri. In realtà nel 2040 non si compera più con quel denaro, ma con un denaro avente un valore fittizio, non reale" (6).

  

Un simile decumulo esplicito applicato consapevolmente alla moneta avrebbe come effetto il domarla in modo che essa sia consapevolmente nelle mani dell'uomo e non l'uomo totalmente all'oscuro nelle mani della moneta o del monetarismo impazzito. Altrimenti essa si comporta veramente come un cavallo matto che nessuno riesce più a domare, ponendo di conseguenza gli uomini in sua balia come schiavi completamente rincitrulliti. Se infatti sul denaro ci fosse la data di nascita e quella di morte avrebbe un differente valore d'uso rispetto a quello che ha ora. Per esempio, nessuno vorrebbe un prestito di denaro che ha pochi anni di vita per un'impresa la cui realizzazione ne richieda molti di più. Allora non ci sarebbe debito pubblico perché la truffa del debito pubblico sarebbe finita dal momento dell'adozione del denaro a scadenza. 

 

Grazie a quel decumulo esplicito sarebbe possibile una società con una unica tassa: quella sul denaro all'atto della sua libera emissione (free banking) in modo che tutti gli altri dispositivi di furto imposto (imposte, balzelli, tributi, ecc., nonché il costoso quanto inefficiente impianto welfare) sarebbero abrogati e sostituiti con un nuovo dispositivo:  quello per la separazione del lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenza, come auspicato da Steiner (7). 

  

Perché? 

 

Perché questa non è altro che l'evoluzione scientifica e non buonistica del concetto di solidarietà poggiante sulla divisione del lavoro, vale a dire l'attuazione della "fraternità" presente nel trinomio "liberté, égalité, fraternité", scritto ben chiaro su alcune Logge. 

Questo trinomio è oggi disatteso in quanto si realizza solo se lo si comprende nella sua triplice diversità di essenza logica, vale a dire che i tre concetti si attuano solo in ambiti separati: libertà di cultura, uguaglianza di legge, e solidarietà (fraternità) dell'economia. Questi tre concetti non possono mai attuarsi in un loro medesimo ambito logico, perché se ciò avviene, avviene una vera e propria violazione con conseguenze di disordine. Per fare un esempio, secondo la mera logica economica è normale distruggere una merce al fine di renderla rara e di alzarne conseguentemente il prezzo. Però secondo l'etica dell'uguaglianza (giustizia) ciò non è normale perché c'è gente che muore di fame e sarebbe antievolutiva tale distruzione di merci. Eppure  "la Comunità Europea concede un indennizzo per la distruzione degli agrumi in eccesso" (8).

 

Il problema è dunque evolutivo.

 

Del resto, il secolo passato, nonché quelli precedenti, non sono forse l'espressione umana dell'evoluzione cui si accennava ancora mezzo secolo fa? 

 

Alla fine degli anni '60 e negli anni '70 non si diceva forse: "Finalmente nel 2000 l'automazione libererà gli esseri umani dall'obbligatorietà del lavoro..."?


L'obbligatorietà è antilibertaria. Quindi è mefitica. Puzza di marcio e di malsano. Non il lavoro ma l'obbligatorietà è malsana: una persona, se è libera, lavora  spontaneamente, e bene. E produce altrettanto bene. 

 

02-robogate.jpgOggi invece siamo arrivati a questo paradosso: che le macchine hanno effettivamente liberato l'uomo dall'obbligo del lavoro, ma si continua a non parlarne, e a parlare invece di disoccupazione come di una calamità. 

Ma la disoccupazione non è altro che la liberazione raggiunta grazie ai sacrifici dei nostri padri e nonni dei secoli passati, miranti all'automazione cioè a un mondo di macchine che lavora al posto degli uomini. La disoccupazione è dunque una benedizione libertaria. 

La disoccupazione è libertà. 

 

È questo che bisogna capire oggi. E tutti gli immensi profitti che le macchine oggi producono dovrebbero costituire la nuova retribuzione per tutti, indipendentemente dal lavoro di tutti. Perché, ripeto, questa non è altro che la soluzione a cui alludeva Steiner quando auspicava per i nuovi tempi la separazione del lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenza:

"Esiste oggi nell'ordinamento sociale qualcosa di innaturale al massimo grado e cioè che, semplicemente per il fatto di possederlo, il denaro aumenta. Lo si mette in banca e se ne ricavano interessi. Questo è il fatto più innaturale che possa esistere. In realtà è semplicemente un assurdo. Non si fa nulla; si mette in banca il denaro che si ha, che forse non ci si è nemmeno procurato col lavoro, ma che si è ereditato, e se ne ricavano interessi. È tutta un'assurdità. Però sorgerà la necessità, quando il procacciamento dei mezzi di sussistenza sarà separato dal lavoro, che venga impiegato il denaro, quando esiste, e quando venga prodotto come equivalente di merci che esistono. Esso deve essere utilizzato, deve circolare. Si avrà allora l'effetto reale che il denaro non aumenterà, ma diminuirà" (9).

 

Non si tratta dunque di creare nuovi posti di lavoro o di formare delle badanti, o scervellarsi per inventarsi nuove occupazioni astrattizzate dalla realtà. 

 

La disoccupazione è la valorizzazione dell'umano che si può cogliere solo se si incomincia ad accogliere liberamente il nuovo pensiero dello spirito dei tempi. Ecco perché dico che da questo punto di vista, la mancanza di lavoro non va considerata un problema ma una benedizione.

 

03-proposta.jpgSe Gary North auspicasse davvero il superamento di ciò che Mises chiamava "polilogismo", cioè l'uso di logiche diverse rispetto ai beni di scambio accetterebbe di buon grado l'idea di decumulo monetario di Gesell, o di chi per lui, senza considerare cialtroni monetari coloro che si sono occupati di questa scoperta, l'attuazione della quale rimuoverebbe tale "polilogismo".

 

Altri punti in cui Gary North è ideologicamente in lotta con se stesso sono i seguenti: alla pagina 175 del suo libro "Cosa è il denaro" chiama "cialtroni monetari" coloro che sostengono il denaro a corso legale; e ciò dopo avere proposto a pag. 04-espediente.jpg93, al fine di eliminare una ruberia di Stato, nientemeno che una "legge", addolcendo la pillola col dire essa sarebbe solo un "espediente politico". 

 

Ma il denaro a corso legale cos'altro è se non un espediente politico? 

 

Anche da questo punto di vista Gary North risulta pertanto essere cialtrone monetario proprio secondo... se stesso.

 

A me pare che, fino a prova del contrario, questo tipo di libertari sia per molti aspetti non molto diverso da quello dei marxisti del secolo passato...

 

NOTE

(1) Silvius Gesell, "Die Natürliche Wirtschaft Ordnung durch Freiland und Freigeld", Ed. Arnstadt i. Thür., Roman.
(2) Rudolf Steiner, "I capisaldi dell'economia", Milano, 1979.
(3) Rudolf Steiner, "I capisaldi dell'economia", cit. p. 158.
(4) Ibid. p. 171-172
(5) Rudolf Steiner, "Seminario di economia", Milano, 1973, p. 77-78.
(6) "I capisaldi...", cit. p. 173.
05-robogate2.jpg(7) Rudolf Steiner, "Esigenze sociali dei tempi nuovi", Milano, 1971, 2ª conferenza, Dornach, 30 novembre 1918: "Infatti ciò cui si deve tendere, naturalmente non in maniera bolscevica ma ragionevole, è di separare il lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenza. In avvenire il denaro non dovrà essere un equivalente per la forza umana di lavoro, ma solo per la merce. Solo merce si potrà avere in avvenire per denaro, non forza umana di lavoro". Ciò potrà essere realizzato solo grazie a libere associazioni capaci di istituire un reddito di base incondizionato per tutti dalla nascita alla morte (che per fare una proporzione col costo della vita, se fosse attuato oggi, 2011, dovrebbe consistere all'incirca di 2000 euro mensili). 
(8) Giovanni Falcone, "Cose di Cosa Nostra", Ed. Rizzoli, Milano 1991 p. 144.
(9) Rudolf Steiner, "Esigenze sociali dei tempi nuovi", cit., ibid.  

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4 ottobre 2011 2 04 /10 /ottobre /2011 12:22

I tuoi nemici non sono gli evasori fiscali, gli speculatori finanziari, i commercianti, la globalizzazione, l'Islam, il terrorismo, gli extra-comunitari, il nord, il sud, la Cina, i paesi canaglia, i paradisi fiscali, e cosi via . . . I tuoi nemici stanno in parlamento: sono loro che hanno generato il debito pubblico che ora fanno pagare a te. Anche se li hai mandati a rappresentarti, tra i tuoi diritti è rimasto quello di esserti potuto sbagliare. Non farti distrarre dai finti nemici che additano. Chiedi il fallimento del sistema, prima che il loro sistema dichiari il tuo. http://vimeo.com/29962280

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30 settembre 2011 5 30 /09 /settembre /2011 18:23
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  • : Musicista, scrittore, studioso di ebraico e dell'opera omnia di Rudolf Steiner dal 1970 ca., in particolare de "La filosofia della Libertà" e "I punti essenziali della questione sociale" l'autore di questo blog si occupa prevalentemente della divulgazione dell'idea della triarticolazione sociale. http://digilander.libero.it/VNereo/
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