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7 novembre 2013 4 07 /11 /novembre /2013 13:21

Per Johann Gottlieb Fichte l’individuo deve... scomparire.
Da una parte egli scrive: «La ragione è l’unico “in sé”, mentre l’individualità è soltanto accidentale. La personalità [..] è soltanto un modo particolare di esprimere la ragione, ed è destinata necessariamente a perdersi nella forma universale di essa. Per la “Dottrina della scienza” soltanto la ragione è eterna, mentre l’individualità deve decadere incessantemente, fino a morire (die Individualität muss unaufhörlich absterben)» (C. Cesa, “Prima e Seconda introduzione alla dottrina della scienza”, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 87).
Dall’altra, scrive che «Dio è la ragione stessa» (J. Gottlieb Fichte, “Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften”, hrg. von R. Lauth, H. Jacob, H. Gliwitzky, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1962, sez. 4, 1° vol., p. 446).
In tal modo, affermando che la ragione pur essendo Dio si dissolve post mortem nella ragione universale, ragiona esattamente come un seguace della dottrina di Averroè, più volte accennata da Rudolf Steiner come aristotelismo spurio.
Se avesse minimamente ragionato in modo sano, Fichte si sarebbe accorto che questo suo averroismo non poteva stare in piedi, dato se fosse veramente stato convinto del dissolversi post mortem del proprio io nella ragione universale, avrebbe dovuto dire allora che la morte socializza forzatamente, dato che annienta quel corpo che è l’unico elemento che (nella convinzione di Averroè e nella propria, dato che anche per Fichte il corpo è un tratto distintivo della razionalità finita degli esseri umani) distingue una persona dalle altre. In tal caso non potrebbe però optare per la socializzazione nella convinzione che ogni socializzazione, forzata o non forzata, comporti l’annientamento dell’individualità!
Insomma secondo questo modo sballato di intendere l’individualità, perché mai dovrei optare per la socializzazione? Forse per diventare con Fichte precursore del contrasto comunista tra l’individuale e il collettivo che, non riuscendo a comporsi mediante un superiore grado di sviluppo dell’autocoscienza o di quell’“individualismo etico” di cui parla Rudolf Steiner nella sua opra principale, si risolve tutto (come oggi avviene) mortificando o annientando l’individuale per mezzo del collettivo (del partito, dello Stato o della Chiesa) o al contrario mortificando o annientando il collettivo per mezzo dell’individuale (dell’egoismo dei nostri governanti mascherati da altruisti)?
Nel comunismo - senza la scienza steineriana - convivranno sempre due tendenze, una rigida, dogmatica, statalista, ed economicistica; e un’altra di liberazione, pluralista, umanista.
In termini steineriani, la prima è “arimanica” e la seconda “luciferica”.
E dato che la storia ha mostrato il fallimento della prima, i nostalgici puntano allora sulla seconda. Per esempio, sui cosiddetti “girotondini”, “movimentisti” o “no-global” che si crede la rappresentino.
Fra costoro ci sono anche i sedicenti antroposofi di “Libera conoscenza”, con a capo Pietro Archiati che predica, sì, la libertà, ma la libertà comunista e attivista di Fichte...
Con l’opera “Der geschloßne Handelsstaat” (Lo Stato economico chiuso) Fichte instaurò “un regime comunista e proibizionista” (Giorgio Del Vecchio, “Il comunismo giuridico del Fichte”, Kessinger Legacy Reprints; testo pubblicato nel sito “Nereo Villa Opere”) in cui lo Stato era minutamente disegnato secondo un “vero trattato di comunismo giuridico, ossia (in lato senso) di socialismo di Stato” (ibid.).
Questa è dunque l’antica dinamica della nascita del comunismo acefalo, dinamica secondo la quale anche se Fichte, “l’ideologo formidabile della libertà, termina invocando il proibizionismo commerciale e l’assolutismo di Stato” (ibid.), il suo disegno minutamente tracciato nel 1800 sui compiti dello Stato è ancora predicato oggi, terzo millennio, da Pietro Archiati come scienza di Steiner: “Il legislatore deve unicamente stabilire quali azioni sono vietate, e devono perciò essere punite” (Pietro Archiati, “Il pensiero, via maestra alla felicità. Dialogo fra scienze naturali e scienza dello spirito” Ed. Archiati).
QUESTA IDEOLOGIA DI ARCHIATI È PERÒ FINO A PROVA CONTRARIA UNA CONTRAFFAZIONE DELLA SCIENZA DELLA LIBERTÀ DI STEINER.
Dunque delle due l’una: o Archiati e la sua banda di “Libera conoscenza” sono dei mistificatori consapevoli di esserlo e quindi dei criminali, oppure credono davvero che la libertà sia la libertà di dire fregnacce una dopo l’altra mettendole in bocca a Rudolf Steiner. In tal caso si ostinerebbero ad ignorare la scienza dello spirito a carattere antroposofico, ottenebrandosi volontariamente, quindi sarebbero una banda di zombi cretini!
Vero è che in nome dello Stato si diviene ciechi volontari: ci si chiude gli occhi per non vedere: l'io si nutre dell’opposizione all’oggetto di percezione, cioè al non-io fichtiano, e non si riesce a ritrovare se stessi al di là di quella soglia che il pensiero rappresentativo, la coscienza sensibile e l’ego temono di attraversare per paura di perdersi.
Ma l’io ordinario, o ego, non è il male. È solo l’embrione dell’io superiore, etico e sociale.
I sinistrorsi, o i cattocomunismi, anzi i “mentecatto comunisti”, dunque non si illudano. Perché solo da una perseverante e mai esaustiva autoeducazione dell’ego (fondata su una vera e profonda conoscenza dell’essere umano) può venire alla luce l’io, quindi un mondo migliore, non da una sua più o meno violenta o “conviviale” costrizione, generatrice del solito e vetusto mondo malmondato...
Per Fichte “l’idealismo è la sola filosofia della libertà, poiché muove dall’io e dalla sua attività creatrice e trasformativa” (D. Fusaro, “L’aporia dello Stato in Fichte”, GCSI - Anno 3, numero 5, ISSN 2035-732X, p. 112).
Per Steiner la filosofia della libertà è monismo.
Per Fichte è la passione idealistica della libertà a imporre lo Stato come principio morale decisivo, e solo mediante l’azione dello Stato diventa possibile per lui garantire l’eguale libertà dei soggetti e il loro libero sviluppo.
Per Steiner ciò sarebbe una malattia dell’organismo sociale, simile a quella di un organismo umano in cui il sistema cardiocircolatorio volesse arginare il lavoro del sistema nervoso e quello metabolico.
L’individuo è per Fiche conseguenza necessaria dell’azione dello Stato inteso come principio morale, e scrive: “il vero scopo dello Stato è di aiutare ciascuno a raggiungere quello a cui, come partecipe dell’umanità, ha diritto, e di mantenerlo in tale condizione” (J. Gottlieb Fichte, “Lo Stato commerciale chiuso”, Bocca, Milano 1909, p. 29).
Lo Stato è invece per Steiner conseguenza necessaria della vita dell’individuo, e scrive: “L’individuo umano è la sorgente di ogni moralità e punto centrale della vita terrestre. Lo Stato, la società, esistono soltanto perché risultano come conseguenze necessarie della vita individuale” (R. Steiner, “La filosofia della libertà, cap. 9°, §48).
Evidentemente per Archiati queste differenze non contano, dato che dopo avere letto per la prima volta “La filosofia della libertà” racconta di avere avuto l’impressione di averla scritta lui, che aveva fatto la sua tesi di laurea su Fichte!
Secondo Archiati, l’errore di Fichte consisterebbe semplicemente nel fatto che se anziché partire dall’io, Fichte fosse partito dall’idea del conoscere, avrebbe capito che l’io pone il conoscere, e scrive: “Fichte, invece di partire dall’idea del conoscere, è partito dall’idea dell’io. Concepito come inizio assoluto, come libertà assoluta, l’io non può porre che se stesso. Ma questo porre se stesso rimane senza contenuto. Bisogna chiedersi: che cosa pone l’io ponendo se stesso? L’oggetto di questa attività assoluta del porre, Fichte non l’ha mai chiarito. Egli fa iniziare l’io con una decisione libera, con un atto assoluto: ma quale atto? Se Fichte fosse invece partito dall’idea del conoscere, gli sarebbe stato più facile comprendere che l’io pone il conoscere” (Pietro Archiati, “Libertà senza frontiere”, Ed. Archiati, p. 74).
Ma quando mai?
L’io non pone il conoscere. L’io conosce. Il soggetto umano attuando il processo del conoscere non crea nulla, non pone alcunché. Se io conosco il Sole, mica lo creo, e manco lo pongo. Infatti è poi lo stesso Archiati a scrivere che Fichte “non ha tenuto conto che nella teoria della conoscenza (da lui chiamata «teoria della scienza»: Wissenschaftslehre) non si tratta specificamente dell’uomo in quanto attore libero, ma in quanto soggetto conoscente” (ibid.). Ma appunto come fa allora il soggetto conoscente a porre il conoscere?
Come soggetto conoscente, ripeto, io conosco il conoscere come TEORIA DELLA CONOSCENZA, mica lo pongo! Non posso porre il conoscere stesso, perché questo non esiste senza una precisa fisiologia corporea! Quindi non spetta a me creatura, porre o creare il conoscere, ma alla creazione. Io posso porre un principio a monte del mio filosofare, ma qualsiasi sia questo principio, creerò sempre una filosofia campata in aria: “finché la filosofia accetta tutti i possibili principi [...] resta sospesa in aria” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 3°, §31°).
Se Steiner fosse partito assiomaticamente dal concetto o dal principio del pensare non avrebbe operato scientificamente ma filosoficamente.
Invece il suo lavoro è scientifico, non una filosofia come le altre!
ECCO PERCHÉ IL PUNTO DI PARTENZA DESIGNATO DA STEINER (che Archiati non ha ancora capito, e lo aspetto al varco, ovviamente se è onesto con se stesso) NELLA SUA FILOSOFIA È IL PENSARE NON IL CONCETTO DEL PENSARE: “È necessario tenere presente che il punto di partenza designato qui è il PENSARE, e non i CONCETTI e le IDEE, i quali sorgono soltanto attraverso il pensare [...]. (Faccio espressamente notare questo perché qui sta la mia differenza con Hegel. Questi pone il concetto come elemento primo ed originario)” (ibid., cap. 4°, §1°).
Come mai Pietro Archiati non è ancora riuscito a capire che il pensare di cui parla Steiner non è un concetto ma un’esperienza?
La ragione è molto semplice: Archiati non comprende che Steiner non parte da un assioma perché per sua stessa ammissione: “nessun pensiero può compiersi senza assiomi” (Pietro Archiati, 3° seminario sulla filosofia di Steiner, tenuto a Rocca di Papa - Roma - dal 14 al 17 febbraio 2008) ed evidentemente “La filosofia della libertà” è per Archiati una mera serie di pensieri... Dunque non si è ancora reso conto che Steiner è scienziato, PIÙ che un filosofo.
Archiati non comprende che se, come egli afferma, “nessun pensiero può compiersi senza assiomi” (ibid.) poiché gli assiomi sono principi filosofici, quindi dei “pensati”, per forza di cose ciò significherebbe che tale partire da tali principi filosofici o assiomi, sarebbe partire da “pensati”!
La filosofia della libertà di Steiner è invece scienza della libertà in quanto OSSERVAZIONE DELL’ATTIVITÀ INTERIORE (O OSSERVAZIONE ANIMICA) SECONDO IL METODO DELLE SCIENZE NATURALI!
Dunque Steiner parte, sì, dal pensare ma da un pensare che non è da non intendersi come idea del pensare. Steiner parte bensì dal pensare come esperienza, come esperimento! In tale contesto il conoscere, ripeto, non si può porre, ma solo scoprire.
I concetti appartengono alle cose. Perciò vanno SCOPERTI, non INVENTATI alla Fichte o all’Archiati, perché tale loro inventare non può che avere come oggetto le solite fregnacce, i soliti ideologismi, il solito comunismo, il solito nazismo, ecc.
Anche Giovanni Gentile, a differenza di Hegel, prese il pensare come punto di partenza, ma lo prese come “punto di partenza” di un sistema filosofico (l’“attualismo”), e non, come Steiner, di un’“osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali”. La “riforma dialettica hegeliana” di Gentile (che Archiati si vanta di avere studiato) comprendeva un saggio intitolato “L’atto del pensare come atto puro”. L’atto del pensare ha però senso solo se lo si sperimenta, e perde di senso se lo si concettualizza o lo si sistematizza. Ed è questo che continuano a fare i fresconi come Pietro Archiati e la sua band!.
Così come il “punto di partenza” dell’attualismo gentiliano non è costituito dall’atto del pensare, bensì dall’idea dell’atto del pensare, allo stesso modo il punto di partenza di Pietro Archiati non è costituito dall’osservare pensante della dinamica attiva fra percezione e concetto, ma da un pensiero, cioè da un pensato, quello della percezione pre-giudicata come inganno da superare (Pietro Archiati, "La percezione un Inganno da superare", venduto dalla Rudolf Steiner Edizioni!).
Ciò che vale per Gentile vale anche per Archiati (anche se Archiati non vale nemmeno una virgola di Gentile) e per ognuno di noi nella misura in cui confondiamo il pensare col pensato: una cosa infatti è il pensare vivente, altra il pensiero del pensare vivente. Questa osservazione non mette in luce solo i limiti dell’“attualismo”, o dello “steinerianismo fichtiano” di Archiati, ma anche quelli di tutta la speculazione filosofica mondiale.
Archiati, da me soprannominato Archiagottlieb, continuando invece ad improvvisare i suoi concetti, creandoli dal nulla secondo una fantasia speculativa incapace di distinguere l’osservare scientifico dal favoleggiare, arriva perfino a proporre la creazione di gruppi di studio per aggiustare la terminologia della filosofia della libertà, in quanto Steiner secondo lui “andrebbe a spanne generando confusioni e fraintendimenti filosofici, che mai un filosofo come Rosmini avrebbe generato”.
Se si approfondisce un po’ la cosiddetta “Dottrina della scienza” di Fichte ci si rende conto che con Steiner i “conti” di Fichte non tornano; quindi predicare l’antroposofia fichtiana per aggiustare Steiner… è roba da matti. Sarebbe meglio che coloro che vogliono cambiare il mondo in tal modo cambiassero prima se stessi.

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