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Musicista, scrittore, studioso di ebraico e dell'opera omnia di Rudolf Steiner dal 1970 ca., in particolare de "La filosofia della Libertà" e "I punti essenziali della questione sociale" l'autore di questo blog si occupa prevalentemente della divulgazione dell'idea della triarticolazione sociale. http://digilander.libero.it/VNereo/

R. Steiner, Capitalismo e idee sociali 02 (a cura di Nereo Villa)

Rudolf Steiner
Capitalismo e idee sociali

(Capitale, lavoro umano)
da "I punti essenziali della questione sociale"
[a cura di Nereo Villa]

 

Seconda parte

 

[...] In un ordinamento sociale ordinato a questo modo, tanto la libera iniziativa dei singoli individui, quanto gli interessi della collettività sociale, contano in ugual misura; anzi, a questi ultimi si corrisponde pienamente proprio nel mettere a loro servizio la libera iniziativa individuale. In tale ordinamento, chi deve affidare il proprio lavoro alla direzione altrui può stare tranquillo che questo è il modo migliore di lavorare con chi ci dirige, facendo ritornare massimamente utile all'organismo sociale - quindi anche a noi stessi - il lavoro svolto in comune. L'ordinamento sociale qui inteso stabilirà un sano sentire nel bilaterale rapporto fra diritto di disponibilità di capitale incorporato nei mezzi di produzione (diritto regolati dalla coscienza di ciò ch'è giusto) per l'energia lavorativa umana, e prezzi dei prodotti così ottenuti. Forse qualcuno troverà nelle cose qui esposte delle imperfezioni. E si trovino pure! Per una concezione corrispondente alla realtà, quel che importa non è dare una volta per sempre un "programma perfetto", ma la direzione nella quale praticamente si deve lavorare. Le indicazioni particolari qui svolte non vogliono se non spiegare con esempi la direzione indicata. Gli esempi possono essere migliorati; purché lo si faccia nel senso indicato, si potrà raggiungere utilmente lo scopo.

I giustificati impulsi personali o familiari, potranno, grazie a queste disposizioni, armonizzarsi con le esigenze della collettività umana. Certo si potrà sostenere come già sia assai grande durante la vita la tentazione di trasmettere la proprietà a uno o più discendenti, facendoli passare come persone apparentemente produttive, mentre invece, di fronte ad altre, sarebbero inette e meglio sostituibili. Ma in una organizzazione regolata da disposizioni come quelle sopra accennate, tale tentazione potrebbe essere massimamente limitata: basta infatti che lo Stato politico richieda che la proprietà trasmessa da un membro di una famiglia a un altro, un certo tempo dopo la morte del primo, passi in ogni caso ad una corporazione dell'organizzazione spirituale. Oppure anche in altro modo il diritto potrà impedire che si eluda l'applicazione della norma. Lo Stato politico provvederà solo a che il trapasso della proprietà avvenga; l'organizzazione spirituale, invece, dovrebbe designare la persona prescelta per entrare in possesso dell'eredità. Con queste premesse si imparerà ad intendere come i discendenti debbano venir preparati per la vita sociale mediante l'educazione e l'istruzione, e come non si debba arrecare danno alla società trasmettendo capitali a persone improduttive. Chiunque abbia un vero intendimento sociale non ha interesse a che il suo rapporto con un capitale si trasmetta a persone o gruppi di persone le cui attitudini individuali non giustifichino tale rapporto.

Nessuno che abbia un senso per ciò che è realmente attuabile in pratica riterrà semplice utopia quanto qui viene proposto, poiché si tratta proprio di disposizioni che possono emergere in modo del tutto diretto dalle attuali condizioni, e in ogni situazione della vita. Solo si dovrà rinunziare pian piano in ambito statale:

 

- ad amministrare la vita spirituale,

- a ingerirsi nell'economia,

- e a non opporre resistenza, quando accada realmente ciò che dovrebbe accadere, cioè:

- che sorgano privati istituti di istruzione

- e che la vita economica si appoggi sulle proprie fondamenta.

 

Non occorre abolire da oggi a domani le scuole di Stato e le istituzioni statali economiche, ma da un'inizio forse limitato si vedrà sorgere la possibilità che gradualmente si effettui la demolizione di ciò che è cultura ed economia di Stato. Prima di tutto però è necessario che le persone, le quali riescono a convincersi della giustezza delle idee sociali qui esposte o di altre congeneri, si occupino della loro diffusione. Se queste idee verranno comprese, si creerà la fiducia in una possibile salutare trasformazione delle condizioni presenti in altre che non presentino gli stessi inconvenienti. Questa fiducia è l'unica cosa da cui potrà scaturire un'evoluzione veramente sana. Per acquistare una tale fiducia, occorre infatti poter vedere come le nuove disposizioni possano riconnettersi praticamente a ciò che già esiste nel mondo. L'essenziale di queste nuove proposte dovrebbe apparire proprio nel fatto che idee di questo genere non intendono promuovere un avvenire migliore attraverso stravolgimenti - ancor più vasti di quelli già avvenuti (1) - dell'attuale stato di cose, ma promuovere la loro attuazione costruendo su ciò che già esiste ed eliminando, cammin facendo, ciò che è malsano. Da un rinnovamento che non si sforzi di stabilire la fiducia in tal senso, non risulterà ciò che si deve incondizionatamente conseguire: un'ulteriore evoluzione in cui il valore delle capacità acquisite e dei beni finora conquistati per opera degli uomini, non sia gettato al vento, ma tutelato. Anche il pensatore più radicale potrà avere fiducia in un rinnovamento sociale che tuteli i valori acquisiti, se vedrà proporsi idee, capaci di iniziare un'evoluzione veramente sana. Anche lui potrà riconoscere che qualunque classe giunga al potere, non può eliminare il male esistente, se i suoi impulsi non sono sostenuti da idee che rendano vitale e sano l'organismo sociale. Disperarsi perché non si può credere che un numero sufficientemente grande di persone - anche nell'attuale confusione - possa capire queste idee, pur spendendo l'energia necessaria per diffonderle, significherebbe disperare delle capacità della natura umana di ricevere impulsi per ciò che è sano e rispondente al fine. Non la questione se si debba o no disperare dovrebbe comunque porsi, ma solo quest'altra: "Che cosa si deve fare per diffondere quanto più energicamente possibile la conoscenza di idee capaci di suscitare fiducia?".

 

Una diffusione efficace delle idee qui esposte sarà contrastata innanzitutto dal fatto che le attuali abitudini mentali non vi si accorderanno, per due fondamentali critiche:

 

- si obietterà superficialmente che uno smembramento della vita sociale unitaria non è concepibile, dato che le sue tre parti sono in realtà dovunque collegate;

- oppure si riterrà che quanto qui proposto sia solo elucubrazione mentale staccata dalla realtà, in quanto anche in uno Stato unitario può essere conseguita la necessaria indipendenza di ciascuna delle tre parti.

 

La prima obiezione proviene da un modo di pensare irreale fin dall'inizio: si crede che gli uomini possano conseguire l'unità di vita in una comunità solo quando l'unità sia loro imposta mediante regole. La realtà della vita esige però il contrario: l'unità deve nascere come un risultato; le attività concorrenti da più direzioni devono alla fine formare un'unità. E l'evoluzione attuale è andata nel senso inverso rispetto a quest'idea realistica. Perciò quel che vive negli uomini si oppone a tale "ordine" eterodiretto e conduce poi alla situazione sociale presente. Il secondo pregiudizio deriva dall'incapacità di scorgere la radicale differenza d'azione dei tre organismi della vita sociale. Non ci si accorge che con ciascuno di essi abbiamo un rapporto speciale che può fondarsi sulla sua particolare natura, solo quando nella vita reale esista un'area a sé, sulla quale, separato dalle altre due, tale rapporto possa svilupparsi per poter cooperare con esse. Un'antica concezione, detta fisiocratica, riteneva che: o si stabilivano regole di politica economica contrastanti col libero sviluppo autonomo dell'economia, e in tal caso esse erano dannose, oppure le leggi, seguendo lo stesso indirizzo che la vita economica segue spontaneamente se abbandonata liberamente a se stessa, e allora erano superflue. Anche se come opinione scolastica questa concezione è superata, come abitudine mentale rumoreggia disastrosamente ancora ovunque nelle teste umane. Si crede che se un ramo della vita segue le proprie leggi, da esso può risultare tutto ciò che alla vita necessita. Si pensa, per esempio, che se la vita economica è regolata in modo da apparire soddisfacente, su quel riordinato terreno economico devono risultare corrette anche la vita giuridica e quella culturale. Ma ciò non è possibile. Può apparire possibile soltanto a un pensiero estraneo alla realtà. Nel giro della vita economica non vi è nulla che abbia in sé l'impulso a regolare ciò che, in merito ai rapporti tra uomo e uomo, proviene dalla coscienza del diritto. Se si vogliono regolare questi rapporti tramite impulsi economici, si riduce in schiavitù l'uomo, col suo lavoro e con la sua disponibilità dei mezzi di lavoro, sotto la vita economica. Egli diventa una ruota in una vita economica operante come un meccanismo. La vita economica tende costantemente a muoversi in una direzione, e occorre che un'altro moto intervenga da un'altra parte. Non si può dire che le norme giuridiche siano buone quando seguono la direzione data dalla vita economica, e dannose quando le sono contrarie; ma bisogna dire: solo se la direzione in cui scorre la vita economica sarà costantemente influenzata da umani diritti dell'uomo, egli potrà trovare nella vita economica un'esistenza veramente degna di chiamarsi umana. E solo se talenti individuali (del tutto separati dalla vita economica) cresceranno sul loro terreno, apportando nuove energie all'economia - energie che da sé stessa non potrebbe mai produrre - anche l'economia potrà allora svilupparsi in modo utile agli uomini.

 

È strano! Nel campo della vita puramente esteriore si scorge facilmente il vantaggio della divisione del lavoro: nessuno pensa che un sarto debba allevare da sé la mucca che gli da' il latte. Invece per la struttura generale della vita umana si crede che l'ordinamento unitario sia il solo da cui possano nascere buoni frutti.

 

È ovvio che l'indicazione realistica di idee sociali possa generare obiezioni da vari settori, proprio perché la vita reale genera contraddizioni. Chi pensa realisticamente, deve voler attuare provvedimenti le cui contraddizioni possano essere compensate - in conformità alla vita reale - da altri provvedimenti. Egli non creda che un'istituzione "idealmente buona", in via di attuazione, resti immune da contraddizioni. Che le attuali istituzioni - finalizzate alla produzione per il profitto del singolo - siano sostituite da altre finalizzate alla produzione per il consumo di tutti, è un'esigenza delle attuali sinistre assai giustificata. Ma appunto chi riconosce pienamente questa esigenza non può concludere, come fanno le sinistre, che i mezzi di produzione debbano passare dalla proprietà privata alla proprietà comune. Dovrà invece concludere che quanto si produce privatamente grazie ai talenti individuali, sia messo a disposizione della collettività per le dovute vie. La tendenza degli impulsi economici attuali è quella di aumentare il reddito attraverso quantità di produzioni: l'avvenire dovrà cercare - grazie ad associazioni e prendendo le mosse dal consumo necessario - di produrre attraverso la via diretta dal produttore al consumatore. Le norme giuridiche provvederanno a che un'azienda rimanga legata a una persona o gruppo di persone, solo finché ciò sia giustificato dalle capacità delle persone stesse. Invece della proprietà comune dei mezzi di produzione, subentrerà nell'organismo sociale la circolazione di tali mezzi, portandoli sempre di nuovo nelle mani di persone i cui talenti possano nel miglior modo possibile diventare fruibili per la collettività. In tal modo si stabilirà nel tempo quel collegamento tra persone e mezzi di produzione, che un tempo veniva stabilito dalla proprietà privata: se infatti le capacità di dirigenti aziendali e di collaboratori procureranno redditi idonei soddisfacenti per tutti, ciò sarà dovuto ai mezzi ai produzione. Ognuno non mancherà di rendere massimamente perfetta la produzione, poiché l'aumento di produzione - pur non essendo l'intero profitto - recherà vantaggio a tutti; secondo quanto detto sopra, il profitto andrà alla comunità solo nella misura risultante dopo la deduzione dell'interesse spettante al produttore, come compenso dell'aumento della produzione. Ovviamente, secondo la stessa logica, quando la produzione diminuisse, anche il profitto del produttore dovrebbe diminuire, in misura corrispondente a come aumenta con l'aumento della produzione. Il provento del dirigente dipenderà comunque sempre dalla sua prestazione spirituale, non da entrate condizionate in base al lavoro spirituale di un imprenditore, ma nella cooperazione delle forze della vita sociale.

 

Attuando queste idee sociali ci si accorgerà che, le attuali istituzioni riprenderanno ad avere un nuovo senso. La proprietà cessa di essere ciò che è stata finora; e non per essere ricondotta alla forma oramai superata di proprietà comune, ma per procedere verso forme del tutto nuove. Gli oggetti della proprietà verranno portati nella corrente della vita sociale. Il singolo individuo non potrà amministrarli per proprio interesse privato a danno della collettività; neppure questa però potrà amministrarli burocraticamente a danno del singolo. L'individuo che abbia le dovute attitudini potrà accedere agli oggetti della proprietà e usarli a vantaggio della società.

 

Un senso per l'interesse comune potrà svilupparsi attuando impulsi capaci di mettere la produzione su basi sane, e di preservare l'organismo sociale da pericoli di crisi. Inoltre, l'amministrazione, poiché si occuperà solo di economia, potrà portare a compensi necessariamente poggianti su se stessa. Se per esempio un'azienda non fosse in condizione di pagare gli interessi di chi vi ha impiegato i suoi risparmi di lavoro, e nonostante ciò fosse riconosciuta corrispondente a un bisogno, potrà essere aggiunto il mancante da parte di altre aziende, previa libera intesa con tutte le persone ad esse partecipanti. Un giro economico in sé chiuso, che riceva da fuori la sua base giuridica e una continua e risorgente affluenza di individuali talenti umani, ha a che fare soltanto con l'economia, e rende perciò possibile una distribuzione di beni, capace di procurare a ciascuno quel che giustamente gli spetta, secondo il benessere economico della collettività. Se uno avrà apparentemente un reddito maggiore di un altro, ciò avverrà solo perché, in virtù delle sue capacità individuali, il "di più" torna utile alla generalità.

 

Un organismo sociale così costituito, potrà regolare - mediante accordi tra i dirigenti politici e quelli economici - le imposte necessarie all'organizzazione politica. Quanto invece sarà necessario a sostentare l'organizzazione culturale, affluirà a quest'ultima - per effetto di libera comprensione - da compensi offerti dai singoli partecipanti all'organismo sociale. L'organizzazione spirituale avrà la sua sana base nelle emergenti iniziative individuali di singole persone in libera concorrenza fra loro nel lavoro immateriale.

 

Ma solo nell'organismo sociale qui inteso l'amministrazione del diritto troverà la necessaria comprensione per una giusta ripartizione dei beni. Un organismo economico in grado di svolgere la propria economia nei limiti assegnatigli dal diritto, senza richiedere lavoro di uomini a partire dai bisogni dei singoli rami di produzione, determinerà il valore delle merci secondo le prestazioni umane. E dagli uomini non esigerà prestazioni, determinate da valutazioni di merci, calcolate indipendentemente da prosperità e dignità umane. Un simile organismo considererà diritti provenienti da rapporti puramente umani. I bambini avranno diritto all'educazione; l'operaio, padre di famiglia, potrà avere un reddito maggiore del celibe. Il "di più" gli sarà assegnato da disposizioni, fissate da accordi fra tutte e tre le organizzazioni sociali. Tali disposizioni potranno corrispondere al diritto all'educazione, se - in base alle condizioni economiche generali - l'amministrazione dell'organizzazione economica calcolerà il possibile ammontare delle entrate destinate all'educazione, e lo Stato politico, udito il parere della organizzazione spirituale, fisserà i diritti del singolo individuo. Anche qui, sta nella natura di un pensare corrispondente alla realtà l'aver voluto indicare, con questi accenni a mero titolo di esempio, la direzione nella quale debbano attuarsi tali disposizioni. Potrebbe darsi che nei casi singoli risultassero giuste disposizioni del tutto diverse. Ma il "giusto" si potrà trovare soltanto con un'adeguata cooperazione delle tre parti - per se stesse indipendenti - dell'organismo sociale. Qui - contrariamente a molte idee attuali ritenute pratiche mentre non lo sono - il pensiero che sta a base di questa esposizione, mira a trovare ciò che è veramente pratico, vale a dire una struttura dell'organismo sociale, che dia modo agli uomini di produrvi ciò che è socialmente utile e buono.

 

Come i fanciulli hanno diritto all'educazione, così i vecchi, gli invalidi, le vedove, gli infermi, hanno diritto al sostentamento; il capitale occorrente a questo scopo, dovrà fluire nell'organismo sociale come fluisce il contributo necessario all'educazione di coloro che sono ancora incapaci di produrre. L'essenziale, qui, è che il fissare le entrate, spettanti a chi non guadagna da sé, non debba dipendere dalla vita economica, ma che viceversa la vita economica sia dipendente da quanto, a questo riguardo, risulti dalla coscienza del diritto. Coloro che lavorano in un organismo economico avranno in meno - rispetto a quanto hanno prodotto col loro lavoro - quel tanto che deve essere devoluto a chi non è in condizione di lavorare. Ma attuando gli impulsi sociali qui indicati, quel "meno" sarà diviso in uguale misura fra tutti i componenti l'organismo sociale. Dallo Stato politico, separato dalla vita economica, l'interesse generale dell'umanità, cioè l'educazione e il mantenimento degli inabili al lavoro, verrà veramente trattato come tale, perché nel campo dell'organizzazione politica tutti gli uomini divenuti maggiorenni devono poter interloquire.

 

Un organismo sociale, che corrisponda al modo di pensare qui esposto, farà affluire nelle comunità il sovrappiù di lavoro che un uomo compie grazie ai suoi talenti individuali, come per la minor produzione dei meno dotati attingerà dalla stessa comunità quanto è giustificato per il loro mantenimento. Il plus-valore non sarà prodotto per il godimento ingiustificato di singoli, servendoli in modo diretto, ma indirettamente, attraverso l'aumento di bene materiale o immateriale di cui può usufruire l'organismo sociale, nonché per l'assistenza a quanto nasce dal grembo stesso di questo organismo.

 

Chi obietta che la separazione delle tre strutture dell'organismo sociale avrebbe mero valore astratto, e che essa risulterebbe "da sé", tanto nell'organismo statale unitario, quanto in un organismo economico basato sulla proprietà collettiva di mezzi di produzione e comprendente la sfera statale, dovrebbe considerare la speciale natura delle disposizioni sociali risultanti dall'attuazione della triarticolazione. Ad esempio non sarebbe più l'amministrazione statale a dover riconoscere una moneta come mezzo legale di pagamento, perché tale riconoscimento dovrebbe fondarsi su misure emanate dai corpi amministrativi dell'organizzazione economica, in quanto in un sano organismo sociale il denaro non può essere altro che un assegno su merci prodotte da altri da noi ritirabili dal campo generale della vita economica nella misura in cui cediamo ad esso altra merce da noi prodotta.

 

Con la circolazione di moneta un'area economica diventa unitaria. Nel giro della vita economica ciascuno produce indirettamente per tutti. Nell'area economica si ha a che fare unicamente con valori di merci; in essa prendono carattere di merci anche le prestazioni che provengono dalle organizzazioni spirituali e statali. Dentro l'àmbito economico, ciò che un maestro fa per i suoi scolari è merce. Al maestro non sarebbe pagato il suo talento individuale, così come non lo sarebbe all'operaio la sua forza di lavoro. Ad entrambi sarà pagato solo ciò che, partendo da loro, potrà essere merce nel giro economico. Il modo in cui la libera iniziativa e il diritto devono funzionare affinché la merce si produca, resta fuori dal giro economico, esattamente come l'azione delle forze naturali sul prodotto del frumento in un anno di abbondante o di scarso raccolto. Per il giro economico e in merito alle richieste organizzative dei proventi economici, tanto l'organizzazione culturale, quanto l'organizzazione statale, sono singoli produttori di merce. I loro prodotti non sono però merce nella loro sfera d'azione, bensì solo entrando nel giro economico: non svolgono interessi economici nei loro rispettivi campi, ma li svolge l'amministrazione dell'organismo economico attraverso il frutto di tali prestazioni.

 

Il valore puramente economico di una merce (o di una prestazione), esprimendosi nel denaro che rappresenta il suo equivalente, non potrà che provenire dalla competenza che l'amministrazione economica saprà sviluppare entro l'organismo economico. Dalle misure che saprà prendere, dipenderà fino a qual punto - su base culturale e di diritto creata dalle altre parti dell'organismo sociale, potrà svilupparsi la produttività economica. Il valore monetario di una merce sarà allora espressione dell'essenzialità del bisogno, grazie alle disposizioni dell'organismo economico. Se nell'organismo economico si attuano le premesse esposte in questo libro, l'impulso ad ammassare ricchezze mediante quantità produttive non è più determinante, e grazie ad associazioni interconnesse nelle più svariate maniere, la produzione si coordina ai bisogni. Sarà così stabilito, in modo conforme a questi ultimi, il rapporto fra valore monetario ed organizzazione produttiva. Nell'organismo sociale sano, il denaro è in realtà solo un misuratore del valore (1), perché dietro ad ogni moneta o banconota c'è produzione di merce, e perché il possessore di denaro può ottenere denaro solo in base a a tale produzione. In base alle condizioni esistenti, risulteranno necessari provvedimenti grazie ai quali il denaro, nella misura in cui abbia perso il significato sopra caratterizzato, debba perdere il suo valore in mano al suo possessore. Di tali provvedimenti si è già accennato: dopo un certo periodo, e nella dovuta forma, il possesso del denaro deve passare alla collettività, e periodicamente si dovrà riconiarlo o ristamparlo, affinché non succeda che, senza fini produttivi, esso sia trattenuto dal suo possessore, eludendo le disposizioni dell'organizzazione economica. Da simili condizioni non può che risultare che anche l'ammontare di interessi di un capitale, progressivamente diminuisca col passare degli anni. Il denaro si logorerà, come si logorano le merci; ma questa misura, che dovrà esser presa dallo Stato, sarà giusta. Non potranno più esservi "interessi" sopra interessi. Certamente chi fece risparmi, fece prestazioni che poterono conferirgli il diritto di ricevere poi delle contro-prestazioni in merci, come le prestazioni odierne danno in cambio il diritto a relative contro-prestazioni. Tali pretese però possono estendersi solo fino a un certo limite, in quanto le pretese provenienti dal passato possono essere soddisfatte solo mediante lavoro attuale, non farsi un mezzo di violenza economica. Con la realizzazione di queste premesse, il problema monetario sarà comunque posto su base sana perché, qualunque saranno le circostanze di stabilizzazione monetaria, la moneta sarà la ragionevole base di tutto l'organismo economico ad opera della sua amministrazione. La questione del denaro non verrà mai risolta in modo soddisfacente da uno Stato per mezzo di leggi; gli Stati attuali la potranno risolvere soltanto rinunciando da parte loro alla sua soluzione, e lasciando all'organismo economico separato le misure necessarie.

 

Si parla molto della moderna divisione del lavoro e dei suoi effetti sul risparmio di tempo, il perfezionamento dei prodotti, lo scambio di merci, ecc., ma si considera poco ilo modo in cui essa influisce nel rapporto fra individuo e sua prestazione lavorativa. Chi lavora in un organismo sociale basato sulla divisione del lavoro non guadagna mai le sue entrate propriamente da se stesso, ma tramite il lavoro di tutti coloro che fanno parte dell'organismo sociale. Un sarto che per uso proprio si confezioni un abito, non lo pone in rapporto a sé come avrebbero fatto uomini primitivi i quali, per le loro condizioni, dovevano procurarsi da se stessi tutto il necessario per il sostentamento della loro vita. Egli si fa quell'abito per mettersi in condizione di poterne fare altri ad altre persone, e il valore del suo abito dipende interamente per lui da prestazioni altrui. In verità l'abito è qui un mezzo di produzione. Qualcuno può dire che queste sono sottigliezze. Però, se considera la formazione del valore delle merci nel giro economico, non non può più pensarla così, in quanto avverte che in un organismo economico poggiante sulla divisione del lavoro, non è assolutamente possibile lavorare per se stessi. Si può lavorare soltanto per gli altri e far lavorare gli altri per se stessi. Lavorare per noi stessi è possibile nella stessa misura in cui possiamo mangiare noi stessi. Ma potremmo avere istituzioni che contrastano con l'essenza della divisione del lavoro: ciò avviene ogni volta che il produrre viene esclusivamente finalizzato a renderci padroni di quantità mercantili prodotte meramente a partire dalla nostra posizione sociale. La divisione del lavoro spinge l'organismo sociale a far sì che l'individuo viva in esso secondo le condizioni di tutto l'organismo; e, dal punto di vista economico, essa elimina l'egoismo. Se poi l'egoismo sussiste lo stesso sottoforma di privilegi di classi o simili, si determinano condizioni sociali insostenibili che portano a scosse violente nell'organismo sociale. Ed oggi viviamo in condizioni simili. Certo, ci sarà anche chi non terrà in alcuna considerazione l'esigenza che relazioni giuridiche, o altre, siano regolate secondo la non-egoistica divisione del lavoro. In base alle sue premesse, costui potrà magari dedurre come generale conseguenza che non c'è niente da fare, e che il movimento sociale non può portare ad alcunché. Certamente è vero che non possiamo far nulla di buono, se ci rifiutiamo di concedere alla realtà dei fatti il suo diritto. Il modo di pensare che sta a base di questo libro vuol conformare quanto dovremmo fare nella società a quanto proviene dalle sue necessità vitali.

 

Chi sa pensare solo secondo routine istituzionale, si spaventa nell'udire che i rapporti fra lavoratore e datore di lavoro vanno svincolati dall'organismo economico, in quanto crede che tali liberazioni comportino deprezzamento monetario e regresso verso rapporti economici di tipo primitivo (Rathenau nel suo scritto "Nach der Flut" (2), esprime simili opinioni che, dal suo punto di vista, sembrano giustificate). Ma questo pericolo non esiste nella triarticolazione dell'organismo sociale: l'organismo economico, posto sulle proprie basi, e articolato a quello giuridico, separa completamente la questione monetaria da quella lavorativa regolata dal diritto. I rapporti monetari - in quanto risultanti dall'amministrazione dell'organismo economico - non dovranno essere direttamente influenzati dai rapporti giuridici. I rapporti giuridici fra datore di lavoro e lavoratore non potranno più manifestarsi unilateralmente nel valore monetario, perché con l'eliminazione del salario inteso come rapporto di scambio tra merce e forza lavoro, tale valore potrà essere esclusivamente misura del reciproco valore delle merci (e delle prestazioni). Studiando gli effetti della triarticolazione sull'organismo sociale, si arriva alla persuasione che essa conduce a istituzioni che nelle attuali forme statali non esistono.

 

In tali istituzioni scomparirà la cosiddetta lotta di classe, in quanto essa dipende dall'aver aggiogato il salario al giro economico. La proposta è invece una forma di organismo sociale in cui sia metamorfosato tanto il concetto di salario quanto quello più antico di proprietà. E da tale trasformazione verrà creata vitale convivialità tra gli esseri umani. Solo una critica superficiale può trovare che con l'attuazione di quanto qui proposto si arriva in definitiva alla mera sostituzione il salario a tempo col salario a cottimo. Una veduta unilaterale della cosa può certo condurre a questo giudizio. Qui però una tale veduta unilaterale è considerata come non giusta. Qui si mira a sostituire al salario condizioni contrattuali di spartizione dei frutti delle comupi prestazioni fra il datore di lavoro e il lavoratore, in connessione con tutto l'ordinamento dell'organismo sociale. Chi considera la parte del provento della prestazione spettante al lavoratore come salario a cottimo non si accorge che questo "salario a cottimo" (che però non è propriamente un "salario") si esprime nel valore della prestazione, collegando la posizione sociale del lavoratore agli altri membri dell'organismo sociale, in modo completamente nuovo, rispetto a quello risultante dal dominio di classe, unilateralmente determinato da motivi economici, tant'è che viene soddisfatto il bisogno di abolire la lotta di classe. Al seguace del socialismo astratto che nega la possibilità di ogni progetto evolutivo se non per la reale risoluzione della questione sociale, bisognerebbe rispondere: "Certo, l'evoluzione deve portare ciò che è realmente necessario, ma nell'organismo sociale gli impulsi delle idee umane sono realtà". E quando sarà il tempo dell'attuarsi di ciò che oggi può solo idearsi, farà appunto parte dell'evoluzione quanto si sarà così realizzato. Chi poi confida "solo nell'evoluzione", e non nella produzione di idee feconde, dovrà aspettare a giudicare fino a quando ciò che oggi viene pensato sarà diventato evoluzione. Solo che allora sarà troppo tardi per il raggiungimento di certi fini già oggi reclamati dai fatti. L'evoluzione dell'organismo sociale non può essere osservata oggettivamente come si fa con l'evoluzione della natura. L'evoluzione la dobbiamo produrre. Per lo svolgersi di un sano pensiero sociale sono perciò cancerogene tutte le opinioni che pretendono "dimostrare" ciò che è socialmente necessario, così come "si dimostra" nel campo delle scienze naturali. Nella concezione della vita sociale una "prova" può risultare solo a chi sa accogliere nella sua visuale non solo elementi del "qui ed ora", ma anche quelli che, spesso inavvertiti, vivono in germe negli impulsi umani e vogliono essere realizzati.

 

Uno degli effetti che dimostreranno il reale radicamento della triarticolazione dell'organismo sociale nell'essenza della vita sociale umana sarà l'affrancamento dell'attività giudiziaria dalle istituzioni statali. A queste spetterà di fissare i diritti che devono esistere fra uomini o gruppi di uomini. Emettere giudizi dipenderà però da istituzioni emanate dall'organizzazione culturale. Il giudicare infatti dipende soprattutto dalla possibilità che i giudici abbiano senso e comprensione per la condizione individuale del giudicando: senso e comprensione, che possono esistere solo nella misura in cui valgano - anche per le istituzioni dei tribunali - i medesimi vincoli di fiducia grazie ai quali gli uomini sono attratti dalle istituzioni delle organizzazioni culturali. È possibile che l'amministrazione dell'organizzazione della cultura scelga i giudici, i quali potranno esser presi dalle più disparate classi di professionisti spirituali, e che, dopo un certo tempo, ritorneranno alla loro professione. Allora, entro certi limiti, tutti avranno la possibilità di scegliersi, per cinque o dieci anni, fra gli incaricati dell'ufficio di giudici, quella persona in cui si abbia tanta fiducia da voler sottostare alle sue decisioni in qualsiasi caso di diritto civile o penale, durante tale periodo. Nel circondario di residenza di ciascuno dovranno sempre esservi altrettanti giudici quante tali scelte di valore, in modo che il querelante dovrà rivolgersi sempre al giudice pertinente a quel tale accusato o convenuto. Si pensi quale decisiva importanza avrebbe avuto un tale ordinamento, per esempio nell'Austria-Ungheria! Nei paesi di varie lingue gli appartenenti a ciascuna nazionalità avrebbero potuto scegliersi un giudice del proprio popolo. Chi sa delle passate condizioni dell'Austria può ben intendere come un ordinamento del genere avrebbe potuto contribuire all'equità nella vita delle varie nazionalità. Ed oltre a quest'ultima, vasti sono i campi della vita nei quali un simile ordinamento può contribuire favorevolmente al loro sano sviluppo. Per la conoscenza più precisa delle leggi, potranno porsi a lato delle corti giudiziarie e dei giudici, scelti nel modo descritto, dei funzionari, scelti anch'essi dall'organizzazione culturale, ma senza l'incombenza di giudice giudici. L'organizzazione culturale stessa formerà anche le Corti di Appello. Nella vita conseguente all'attuazione di queste premesse, sarà essenziale che un giudice abbia familiarità con la quotidianità e col modo di sentire di coloro che deve giudicare, e che - oltre al suo ufficio che terrà soltanto temporaneamente - conosca bene gli ambienti di vita dei giudicandi. In tutte le sue istituzioni, il sano organismo sociale educherà la comprensione sociale delle persone che ne fanno parte, così facendo anche per l'esercizio della giustizia. L'esecuzione dei giudizi spetterà allo Stato politico.

 

Non occorre per ora descrivere per esteso le istituzioni che si renderebbero necessarie in altri campi della vita, oltre a quelli già trattati qui per la loro attuazione. Come è facile intuire, ciò richiederebbe uno spazio illimitato.

 

Le singole istituzioni qui accennate bastano per mostrare che il pensiero che le informa non promuove - come si potrebbe credere, e come in genere si crede quando ho occasione di parlarne - il rinnovamento delle tre classi: insegnanti, agricoltori e soldati. Intende proprio il contrario di questa divisione in classi. Gli uomini non saranno divisi socialmente né in classi, né in ceti; sarà l'organismo sociale stesso ad essere articolato. E proprio in tal modo l'uomo potrà veramente essere uomo, in quanto l'articolazione sarà tale che egli, con la sua vita, avrà radici in ciascuno dei tre campi. Alla sfera dell'organismo sociale a cui egli appartiene per la sua professione, sarà legato da interessi pratico-oggettivi, ed avrà relazioni piene di vita anche con le altre due sfere, perché le istituzioni corrispettive staranno con lui in rapporti tali da suscitare tale concretezza. L'organismo sociale - distinto dall'uomo, ma costituente il suo terreno vitale - sarà triarticolato, e ogni uomo, in quanto tale, sarà un elemento collegatore delle tre sfere.

 

NOTE

 

(1) Per la vita economica, un sano rapporto fra prezzi dei beni prodotti, può risultare solo da un'amministrazione dell'organismo sociale derivante da tale libera collaborazione dei tre sistemi dell'organismo sociale. Il prezzo deve essere tale che ognuno, lavorando, possa ottenere, come equivalente per un prodotto, l'occorrente per l'appagamento di tutti i bisogni, suoi e dei suoi familiari, fino a quando non abbia ulteriormente lavorato nel suo campo per crearne un altro. Tale rapporto tra i prezzi non deve essere fissato d'ufficio, ma risultare dalla cooperazione vivente fra attive associazioni dell'organismo sociale, cosa che non potrà che emergere con certezza solo quando la collaborazione poggerà sulla sana opera comune dei tre sistemi. E ciò risulterà con la stessa sicurezza con cui risulta un ponte solido quando lo si costruisce secondo giuste leggi matematiche e meccaniche. Obiettare che la vita sociale non segue le sue leggi allo stesso modo di un ponte, è facile. Nessuno però solleverà questa obiezione nella misura in cui si saprà riconoscere come - nell'esposizione fatta in questo libro - alla base della vita sociale siano pensate leggi viventi, e non matematiche.

(2) Pubblicato a Berlino nel 1919.

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