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3 novembre 2013 7 03 /11 /novembre /2013 11:52

Pietro Archiati, ponendo al pubblico un quesito sulla realtà della percezione (e ponendolo in modo retorico dato che poi risponde subito egli stesso) nega realtà alla percezione: "C'è una realtà che veramente è fuori della coscienza? Sì!, ed è la percezione, che proprio per questo non è una realtà, perché è fuori della coscienza!" (P. Archiati, "Esistono limiti alla conoscenza?", Ed. Pensarelibero).

Mi chiedo dove sia la logica di questa affermazione.

Se dico di una cosa che essa è una realtà, posso fare ciò solo perché di quella cosa sono cosciente. Come faccio a sostenere immediatamente dopo anche il contrario dicendo che essa è fuori dalla mia coscienza?

Non posso. Pietro Archiati invece può. E tutti zitti! Pensiero debole dell'oratore o dei muti ascoltatori? Fatto sta che antichi slogan come "un po' di qui e un po' di là", o del "qui lo dico e qui lo nego" del comico Giorgio Panariello che riprendevano satiricamente la filosofia del "ma-anchismo" del politicastro Walter Veltroni, diventano in Pietro Archiati antroposofia.

Oggi l'ottundimento imbelle del pensare in cui deliranti psicologismi sono scambiati per antroposofia è spaventosamente ridicolo!

Che fuori dalla coscienza ci siano delle realtà è possibile affermarlo a condizione di non considerare realtà solo ciò che è dentro. Se invece crediamo realtà solo ciò che è dentro non possiamo neanche supporlo. Infatti solo in uno stato sognante potremmo supporre fuori di noi delle realtà, nella convinzione che esse sono realtà solo dentro di noi.

Osservare la superficialità dell'oratore di professione Pietro Archiati, e contemporaneamente la mancanza di osservazione dei suoi ascoltatori non mi sorprende.
Del resto, dopo avere assistito all'"allotriofagia" di coloro che come bestie urlanti in piazza S. Pietro acclamavano la fumata bianca del nuovo papa senza nemmeno sapere chi fosse, nulla mi meraviglia più.

Chi ritiene le cose reali NELLA MISURA IN CUI sono dentro e non fuori della coscienza, ritiene realtà ciò di cui è cosciente e non realtà ciò di cui non è cosciente. In altre parole conferisce realtà solo a ciò che conosce. Se per esempio non sa cosa sia un bemolle o un diesis dice che bemolle e diesis sono NON-realtà

Ora, affinché non sembri che tutta questa riflessione sia condotta fuori dal suo contesto reale, ecco il contesto delle frasi precedenti: "la Filosofia della Libertà - dice Archiati - crea l'equilibrio fra l'affermazione degli idealisti, che vorrebbero farci credere che si trova realtà senza il lato della percezione e lo spirito anglosassone che vorrebbe farci credere che si trova realtà senza il lato del concetto, soltanto con la percezione. E la Filosofia della Libertà ti dice: no!, la realtà ce l'hai quando metti insieme tutti e due" (Archiati, op. cit., ibid.).

Considerando dunque il contesto delle valutazioni di Archiati sulla percezione, risulta che dopo avere affermato che la realtà è l'insieme di percezione e concetto, e che quindi la percezione è parte della realtà, il predicatore afferma poi che la percezione non sia realtà in quanto "fuori della coscienza"!

Se dunque per Steiner e per l'osservazione dei fatti della realtà, la percezione è una parte della realtà assieme al concetto, per Archiati ciò significa che la percezione non è realtà assieme al concetto, ma che essa è NON-realtà.

Ciò però per essere detto esige assolutizzazione eristica dei concetti, e con l'eristica è risaputo che si può dimostrare tutto e il contrario di tutto.

L'eristica è infatti l'arte deipennivendoli come Johann Gottlieb Fichte, a cui Archiati, alias Archiagottlieb, si ispira.

Allora vorrei chiedere ad archiati: o Archiagottlieb che fai? Giochi a fare lo Steiner pubblicando idiozie in base a Gottlieb Fichte, dicendo come lui tutto e il contrario di tutto, senza nemmeno correggerle come se tu fossi già postumo? Non sarebbe meglio che studiassi davvero la filosofia della libertà prima di predicarla come se fosse la "Dottrina della scienza" di Fichte?

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2 novembre 2013 6 02 /11 /novembre /2013 10:47

L'idea della triarticolazione sociale di Rudolf Steiner non impedisce al singolo l'accumulo di capitale, come invece predica Pietro Archiati (alias Archiagottlieb) nel suo comunismo acefalo e proveniente dal comunismo giuridico di J. Gottlieb Fichte: "L'idea della triarticolazione - scrive Steiner - non vuole impedire l'accumularsi dei capitali nelle mani dei singoli, perché riconosce che con ciò verrebbe meno anche la possibilità di porre le facoltà di questi singoli al servizio sociale della collettività" (R. Steiner, "I punti essenziali della questione sociale", pp.171-172). 

 

La percezione della realtà è un problema culturale purtroppo ancora irrisolto e bloccato (in quanto oscurato) già a partire da Kant, la cui cosiddetta “rivoluzione copernicana” in campo gnoseologico portò solo al “vorrei ma non posso” di essa, che rimase pertanto a metà, e danneggiata di molto.

Archiagottlieb è un personaggio da me inventato su basi reali dell’odierna sedicente società antroposofica, evocati anche nel mio sito “Nereo Villa Opere” e in alcuni miei video.

Si presume che chi frequenta questo  sito non giochi con le parole come Pietro Archiati, o come Gottlieb Fichte, che concepiva l’“intelletto” come “fissazione”, solo perché in tedesco “Verstand”, “intelletto”, ha in radice lo “stehen” di “stare”... una vera superficialità etimologica questa... Con la stessa superficialità si potrebbe infatti sostenere che il “caimano” è parente dell’“umano” in quanto in italiano ha in sé la “mano”. Ma ecco le parole reali di Fichte: “L’intelletto è intelletto semplicemente NELLA MISURA IN CUI qualcosa è fissato in esso, e tutto ciò che è fissato è fissato soltanto nell’intelletto” (“Der Verstand ist Verstand, bloß insofern etwas in ihm fixiert ist; und alles, was fixiert ist bloß im Verstande fixiert”, Johann Gottlieb Fiche, “Fondamento dell’intera dottrina della scienza”, Ed. Bompiani, Milano 2003, pp. 444-5).

Oggi 2 novembre è la festa dei morti ma anche la festa per la rivalutazione della facoltà di rappresentazione umana. Chi è convinto che il soggettivo rappresentare non conduca alla realtà, e vive questa convinzione fino in fondo, si accorge della via d'uscita possibilke "grazie al riconoscimento dell'errore a cui essa conduce" (R. Steiner, "La conoscenza del mondo", cap. 5° de "La filosofia della libertà").

Chi conosce l'Opera di Rudolf Steiner e la sua idea di organismo sociale può accedere a questo sito con tranquillità.

Questo sito è per chi, avendo a cuore la verità, ricerca in sé la risoluzione di problemi filosofici come quello della percezione, o del percetto, o del concetto, ecc., risoluzione che comporta non logica intellettualistica o eristica da quattro soldi come quella di Pietro Archiati, ma logica di realtà. Tutti possono parteciparvi.

Accorgendomi che l’antroposofia sta diventando ciò che non è: un business propositivo del comunismo giuridico di Fichte, ritorno a scrivere qui per smascherarne gli affaristi, e per salvare dall’inganno coloro che, ignari, si affidano alla massoneria della sedicente società antroposofica.

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24 ottobre 2013 4 24 /10 /ottobre /2013 10:54

Da aggiungere alla storia del progetto “La percezione di Archiagottlieb

 

Accorgendomi che l’antroposofia sta diventando il business che non dovrebbe essere, un mero business che ripropone - oltretutto a spese dei neofiti - nientemeno che il comunismo giuridico di Fichte, caratterizzato da totalitarismo che sostituisce il monismo del pensare, ho creato questo progetto per smascherarne gli affaristi, e per salvare dall’inganno coloro che, ignari, si affidano alla massoneria di questa sedicente società antroposofica.

 

 

A me pare che a capo di questa mandria di deficienti vi sia un vanesio (Archiagottlieb, alias Pietro Archiati) che li cattura vantandosi della propria cultura d’accatto fatta di “latinorum” seminaristici cattolici, che egli poi fa mostra di contestare con veemenza, ma con la veemenza tipica di chi sputa nel piatto dove mangiò a sbafo, dato che Archiati si fece prete, poi pentendosene, si spretò. Archiati si mostra un pentito, non solo nella sua vocazione al cattolicesimo, ma un pentito in tutto, perfino nell’essere nato italiano, dato che dichiara che vorrebbe essere tedesco. Sembra che la sua natura sia quella di “pentirsi” di tutto, perfino dell’accettazione di Steiner nella terminologia, che predica di voler aggiustare, proponendo appositi gruppi di studio. La sua prosopopea durante le sue prediche è talmente gonfia da ricordare l’invidia del Salieri per Mozart nel film “Amadeus”, con la differenza che Salieri era un bravo musicista, mentre il rapporto fra Archiati e Steiner è simile a quello fra il cagnolino di onice della “Favola” di Goethe, e Goethe.

Il “sapere” di un uomo come questo, che continuamente si vanta di avere studiato il latino o Steiner, o Fichte, o Heidegger, o qualsiasi altro autore, e che si comporta come un “vu cumprà” qualsiasi, a che serve?

Archiati pretende soldi inventandosi addirittura formule di pagamento come quella del “libero apprezzamento” per le sue prediche, col significato di “libero prezzo”, che chiede continuamente ai suoi ascoltatori, infastidendosi poi se tale libertà genera contributi inferiori alle aspettative pattuite, segnandone il prezzo sulla lavagna: “Mancano 4930 euro. Grazie!!”, esattamente come un politico o un esattore che chiede di rispettare il pagamento dell’ennesima nuova imposta inventata sotto forma di libertà, che tipo di servizio fa all’antroposofia? Quando mai Steiner scrisse sulla lavagna simili cose per spiegare la libertà? E che tipo di inganno è quello di chi predica la percezione come inganno o maya (Pietro Archiati, “La percezione un inganno da superare”, Edizioni Archiati) o la realtà come esclusivamente sovrasensibile (spiritualismo assoluto), togliendo così valore di realtà alle cose sensibili? E perché mai un simile predicatore dello spiritualismo assoluto si infuria con coloro che affermano di amare la genialità di un Mozart?

A proposito dello spiritualista assoluto che vorrebbe fuggire da quanto lo circonda sulla terra, Rudolf Steiner dichiara con precisione che il suo sapere è inutile e solo luciferico: “Prendiamo dunque un uomo come questo che sa a memoria, per così dire, tutto ciò che si trova nei diversi libri teosofici, ma che per il resto si comporta secondo gli usi correnti della vita. A che serve tutto il sapere che egli acquisisce in funzione dei suoi alti interessi spirituali? Gli serve qui sulla Terra per procacciarsi un po’ di godimento interiore animico, un godimento proprio luciferico, seppure raffinato e sottile. Nulla di ciò viene però portato oltre le porte della morte, proprio nulla” (R. Steiner, “La missione di Michele”, Dornach 12/12/1919, 9ª conf., Milano, 1981).

E Pietro Archiati chiama questo suo godimento sottile: “vertigine”, “vertigine del pensare puro”, “creazione dal nulla”, ecc.

Dunque a che serve?

Oltretutto, se questo sapere è fasullo come è fasullo il “diritto” di Fichte, ancora fissato sull’obsoleto Stato etico, che Archiati continua a inserire come condimento nelle sue moraleggianti prediche su Steiner, servirà ancora meno! Meno di nulla!

Questo spiritualista, anche se fa mostra di proporsi di arrivare e/o di far arrivare la “mandria” all’“individualismo etico” di Steiner, non potrà mai pervenirvi attraverso il sapere fichtiano dello Stato etico. Oppure potrà pervenirvi solo nella solita prospettiva asintotica del superamento di detto Stato. Prospettiva del “campa cavallo che l’erba cresce”, ma forse sarebbe più preciso dire prospettiva dell’asino.

Ogni prospettiva asintotica è una prospettiva di approssimazione. Cosa ne sarebbe di una scienza se i suoi risultati fossero sempre e soltanto approssimativi come quelli che si manifestano da migliaia di anni in campo sociale, mediante l’“asintoticissima” formula del bastone e della carota? In base a quest’ottica asintotica, il bastone dello Stato etico, e la carota del suo superamento mediante individualismo etico, genererebbero fino a prova contraria come risultato quello di tendere ad avvicinarsi sempre più ma senza mai raggiungersi né coincidere. Insomma, in una tale prospettiva, perfino l’individualismo etico di Steiner assomiglierebbe alla “cagata pazzesca” di Fantozzi!

La stessa prospettiva bufala può essere attribuita a quella di tutti quegli ignobili individui della scienza spirituale del business antroposofico, che per “fare” gli iniziati non ragionano più secondo realtà (e quando mai ragionarono oltre al business?) ma solo farisaicamente secondo versetti biblici, tappandosi gli occhi di fronte alle aberrazioni dell’antroposofia fichtiana, in nome della pagliuzza e della trave, cioè del neomoralismo (vedi ad esempio il “Caso Balin“) che fa loro strappare le vesti in coro!

Questi neobarbari costruiscono poi siti internet che già dal nome dimostrano lo storpiamento di quanto vorrebbero insegnare, l’antroposofia e la triarticolazione sociale cosicché in neolingua è più facile storpiarne poi anche ogni contenuto: antroponordest, ecoantroposophia, tripartizione, ecc.!

Costoro sono perfino arrivati a dichiarare che Steiner sia incompatibile col “minimo vitale”! Dunque, delle due l’una: o sono criminali, o sono cretini…

Il loro stile di gregari li fa assomigliare a guizzanti pesci lamentosi che si riuniscono boccheggianti nel loro io di gruppo, per sopravvivere del loro trasudato psichico, in mancanza dell’acqua vitale dell’io. E in tal modo, questa frangia di antilogici pratica la suzione reciproca di quel trasudato, costituito dal permanere nei retroterra mentali dei loro errori di pensiero, dai quali non vogliono saperne di uscire. Non sbarazzandosi dai pregiudizi insensati da cui sono ferreamente dominati, ritengono e ritengono menzogne su menzogne. Mi sembrano persone stitiche e molto malate che non si liberano mai, non defecano. Puzzano.

Questa carenza di cultura che ambisce restare carenza è l’ignavia, pusillanimità, mancanza di nerbo, di forza, e ricorda la mitologia di coloro che perdevano la virilità bagnandosi nelle acque del lago Salmace.

Questo è il gregarismo acefalo di questi primitivi selvaggi del terzo millennio.

La lotta tra il fallo (che è slancio, dono, rischio, passione) e il pene-cervello (l’autentica “testa di cazzo”) c’è sempre stata in ogni cultura. Ed anche se oggi, con questi “antroposofastri di Stato”, e/o dello Stato etico fichtiano, tale lotta sembra essersi conclusa con la vittoria del pene-cervello, in verità essa accadde già nel passato. Non dobbiamo disperare. La Storia li conosce…

Si tratta, infatti, di una lotta archetipica, profondamente inscritta nella dinamica delle diverse energie umane. La ritroviamo per esempio nell’ostilità a Shiva, nell’epopea delle sacre scritture a lui dedicate.

Shiva è interessante non solo perché rappresenta uno dei grandi archetipi del maschile, ma perché la sua immagine ed energia è stata una delle più amate, anche in Occidente.

La forza di Shiva è però difficile da accogliere, soprattutto per i giovani e pallidi occidentali odierni, tutta “netiquette”, “politically correct”, e “pruderie” delle “brutte parole”, sconvenienti per questi sedicenti antroposofi caproni e pecore della scienza dello spirito a carattere fichtiano.

Questi cretini senza fallo e senza testicoli imperversano più che mai! Il loro è un mondo malato, e la loro malattia è l’ornitopenia (mancanza di uccello)!

C’è una racconto su Shiva che anni fa pubblicai auspicando il superamento della paura. L’avevo preso dal Shiva Purana ed è stato poi copiato da vari siti internet. In questa storia si racconta di come certi moralisti, detti saggi, maledissero un uomo dalla condotta licenziosa: “Hai agito con perversità” - gli dicono, maledicendolo - “Che il tuo fallo si stacchi e ti cada per terra”. E così avvenne. Quell’uomo, però, era Dio, era Shiva, ed il suo fallo caduto cominciò ad bruciare tutto dinanzi a sé e a consumare ogni cosa: “si spostava negli inferni, nel cielo, sulla terra. Non stava mai fermo. I mondi e i loro abitanti vivevano nell’angoscia. Gli dei e i saggi vivevano nell’angoscia...”.

Dunque la “pruderie” del disprezzo del fallo trasforma gli umani in destabilizzatori del mondo e naturalmente ciò produce angoscia in tutti.

I saggi si recarono allora dal creatore, Brahma, che li insultò: “SIETE DEI CRETINI, DEI VERI CRETINI; l’uomo dal sesso eretto, o razza di impotenti, era Dio in persona”. E proseguì: “Fino a quando quel fallo non si stabilizza, nulla di buono può accadere”. Dopo di che, impartì loro le istruzioni per onorare il fallo, calmare Shiva, e riportare la pace nel mondo.

L’angoscia, fin dai miti di origine del mondo è infatti vista come il risultato di un destabilizzarsi della forza fallica, non adeguatamente riconosciuta e onorata.

Ecco dunque perché il disprezzo, fatto dall’uomo senza meraviglia che sottovaluta il proprio simile, è il disprezzo che il cretino porta in sé per tutto e per tutti, e serve per promuovere se stesso da “cretino semplice” a “cretino cattivo”. Questo è in fondo il passaggio di grado del cretino.

Non sto esagerando in modo fantasioso ma esprimendo realtà dei fatti. E poiché dimostro sempre quanto affermo, anche ora, dopo le necessarie premesse, farò lo stesso con recenti fatti accaduti davvero.

Tutti sanno cos’è l’associazione delle idee: c’è un principio di connessione fra i più differenti pensieri o idee, anche nelle fantasticherie più sfrenate o nei sogni. Questo, perché la nostra facoltà immaginativa non corre del tutto a caso, ma una connessione logica è sempre mantenuta tra le diverse idee che si succedono una all’altra. Così, per esempio un ritratto condurrà all’originale; il parlare di qualcosa introdurrà l’associazione di idee rispetto ad altre cose che le somigliano, ecc.

Poniamo il caso che Tizio entri un giorno in un sito internet per dire una cosa e che Caio, che ben la conosce, dopo ben quattro giorni risponda ponendo “distinzioni” avverse ad essa, e che solo al quinto giorno, dopo essere stato contraddetto da Tizio, sia costretto ad affermarla come vera. La domanda che sorge spontanea è: costui ha l’associazione di idee rallentata o associa le cose solo se è costretto da qualcuno a farlo? In altre parole, costui ha perso la virilità bagnandosi nelle acque del lago Salmace oppure è come uno dei cretini di Brahma?

Ridete, o cani! Perché questo fatto è avvenuto veramente, ed il “Caio” in questione è un certo Hugo (verificane i post negli incredibili contenuti del “Caso Balin“).

Ecco cosa avviene nel terzo millennio: alle mie affermazioni del 30 settembre 2013 su Fichte e su Pietro Archiati, un certo Hugo rispose il 4 ottobre 2013 distinguendo in Fichte una parte luminosissima nonché adamantina, per poi convenire, il giorno dopo, col fatto da me denunciato circa la mascalzoneria di Pietro Archiati.

Ecco parte del post di Hugo del 5 ottobre 2013 in cui afferma la pericolosità di Pietro Archiati (ma perché costui per convenire con le mie affermazioni costui ha prima bisogno di confutarle?): “[…] il fatto che, prima che lui [Archiati] andasse volutamente in rotta di collisione con la lobby dornacchiana, egli venisse cercato, lodato, coccolato, foraggiato, viziato, ecceterrato dalla dirigenza della Società Antroposofica la dice lunga dello “sguardo di aquile” di quei mercanti dell’intellettualismo antroposofizzante. Credimi, Nereo, con Archiati io ce l’ho - per troppi meditati motivi - molto più di te [e perché allora non l’hai detto subito?]. E quel che lui afferma sul piano gnoseologico - che tu ascrivi ad una sua visione per te “fichtiana” - me lo rende ancor più pericoloso, e affatto antipatico. Solo che per me, che lo reputo - per una serie di motivi che non è il caso di esplicitare in questa sede [e perché mai? Questa tua sede si chiama “Ecoantroposophia”, nome che dovrebbe evocare almeno un minimo di ecologia all’interno, no?] - un provocatore, ritengo che lui non tenga al pur deprecabile “Stato commerciale chiuso” del buon Fichte, bensì è tutto a pro - qualunque cosa egli affermi a fior di labbra - della “Ecclesia commercialmente e finanziariamente chiusa”. È un avversario astuto e pericoloso: un avversario intellettualmente preparato, non un pastasciuttaro allo stato brado. Spero di essermi spiegato”.

E sì, che ti sei spiegato. Ma perché anziché dirmelo subito hai aspettato che io ti facessi ragionare sul fatto che se il “diritto” fichtiano è l’unico errore di Fichte, ciò significa che tutto il pensiero che ne sta alla base è errato, in quanto il valore di un diritto fu, è, e sempre sarà la sanità del pensare che lo sorregge?

Hugo poi continua e, dicendosi certissimo della perfetta malafede di Archiati, dichiara: “a parte la testimonianza di Attila, Flagellum Dei, circa l’incontro tra l’Archiati con Agnese B., antroposofa svizzera, alla quale egli, che ancora non aveva discusso alla Pontificia Università Gregoriana la sua tesi, presentata da un relatore gesuita, parlò senza infingimenti, non prevedendo certo che le sue parole sarebbero giunte ad Attila, e quindi anche a me. Ma ho testimonianze anche più recenti circa la sua permanenza in case di amici, ai quali pure egli manifestò le sue opinioni, che poi mi furono esattamente testimoniate. Mi fu riferito dei tentativi di “cattolicizzazione” dell’Antroposofia “ad usum Romanae Curiae”, della sua mendacità aperta, della sua “elastica” moralità, del suo calunniare sottilmente o apertamente certe opere di Rudolf Steiner come la Christengemeinschaft. Una volta lo vidi “predicare” in una conferenza, e mi fu chiaro che egli è prete nell’anima, e vidi come egli adoprasse forze occulte per affascinare, addormentare, magnetizzare l’uditorio, forze derivate dall’addestramento gesuitico nell’Ordine al quale appartiene. Anche se lui nega che gli Oblati di Maria siano di derivazione gesuitica, io ne ho le prove provate. Che poi l’Archiati abbia vasta cultura, e facile gioco nel manodurre le persone, illudendole, giocando sulla sentimentalità, che abbia influenza sulle donne e sia persuasivo assai, è cosa che concedo volentieri. Ma non è certo a suo onore e lustro. Semmai è motivo di infamia. Come lo sono le sue segrete intenzioni di disgregare prima l’ambiente antroposofico, e poi di demolire le figure spirituali di Rudolf Steiner e di Massimo Scaligero. È un infiltrato, e la sua opera è infida ed esiziale”.

Essendo io un impulsivo, ho poi risposto di essere stato rincuorato dalle parole di Hugo, ma non è così, dato che esse poggiano solo, a ben vedere, su pettegolezzi. Amaramente rincuorato, dunque.

Riflettendoci, mi pare che costui, sedicente conoscente personale di Scaligero, abbia quindi avversato quanto affermavo per poi confermarlo. È cretino?

E ciò che affermavo e che affermo - non su mere impressioni personali basate sul “si dice” di “amici”, ma IN BASE A FATTI REALI (cioè a indagini su affermazioni di Archiati prese da libri di Fichte che ognuno può verificare) - è che la scienza dello spirito di Archiati non è a carattere antroposofico, ma a carattere fichtiano, dunque a carattere del comunismo giuridico di Fichte.

A questo punto io non so cosa dire. Non so che parole mettere qui per concludere.

Quindi metto le parole di Dio (Brahma): “SIETE DEI CRETINI, DEI VERI CRETINI”!

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30 agosto 2013 5 30 /08 /agosto /2013 11:23

Ovvero: la filosofia che fraintende se stessa

Grazie alla scuola di Archiagottlieb, oggi l’antroposofia di Steiner si è trasformata in “ingannosofia” vale a dire nella filosofia di chi crede che la percezione sia un inganno da superare.

Questa filosofia parte dall’opinione che il mondo delle rappresentazioni sia dominato dalle leggi dello spirito, ed i suoi portatori, gli “ingannosofia”, sono convinti che tutto quanto arriva loro da fuori è solo un inganno, o una maya, in quanto riflesso soggettivo.

Secondo gli “ingannosofi” la parvenza delle cose nascerebbe dal fatto che le cose producono su di loro impressioni che essi connetterebbero secondo leggi del loro intelletto e della loro ragione.

Della possibilità che l’essenza delle cose possa parlare loro attraverso la loro ragione, essi non hanno la più pallida idea, e neanche la vorrebbero. Per questo motivo l’“ingannosofo” può essere caratterizzato con ragione come il prototipo degli sprovveduti gnoseologici.

Il suo errore fondamentale consiste nel pretendere di considerare come oggetto la facoltà soggettiva di conoscenza, distinguendo acutamente ma ingiustamente IL PUNTO DOVE SOGGETTIVO E OGGETTIVO S’INCONTRANO.

QUAL È QUESTO PUNTO?

Soggettivo e oggettivo s’incontrano quando si anela ad unire in un’unica essenza le cose del mondo, e questo vale per ognuno a partire dalla propria interiore attività. In tal caso perciò il contrasto tra soggettivo e oggettivo termina nella realtà unificata.

Per l’“ingannosofo” non è così, in quanto egli è a priori convinto che, anche osservando le cose del mondo, non si potrà mai pervenire alla loro realtà essenziale, quindi manco ci prova, convinto com’è, che un’opinione sulla loro essenza non può esistere, e che può essere invece osservato solo il come le cose appaiono a lui. In tal modo però egli palesa un modo alquanto subordinato di rapportarsi al mondo.

Eppure una conoscenza della relazione tra soggetto e oggetto, corrispondente al nostro rapporto con le cose che vogliamo conoscere non è così impossibile. Diventa piuttosto impossibile solo quando non si riesce a far fuori un secolare pregiudizio culturale: la convinzione che la soggettiva facoltà di rappresentarci le cose sia un’invalicabile barriera che ci separa tanto dalla nostra essenziale realtà quanto da quella della cosa.

Nel loro acutissimo ma erroneo pensare gli “ingannosofi” procedendo ancora kantianamente nella convinzione fichtiana di avere superato Kant è come se dicessero: “Noi sappiamo che il rappresentare non ci è dato dalla realtà oggettiva! È piuttosto il rappresentare soggettivo a darci, non la realtà essenziale come NOUMENO, bensì l’illusione della realtà, cioè il FENOMENO. Accettare l’inganno come se fosse realtà è per noi accettare un dogma, il dogma dell’accettazione del mondo nella sua datità, assunta come dato empirico da collocare poi surrettiziamente come rispecchiabile sul piano gnoseologico. L’unica possibile nostra filosofia della libertà è dunque l’idealismo, dato che esso parte dall’idea dell’io e da ciò che essa comporta come attività creatrice e trasformativa dell’io”.

Con questo loro atteggiamento pseudorivoluzionario, gli “ingannosofi” pongono davvero un dogma estremo, quello dello Stato assolutamente etico: partendo dall’idea dell’io e tematizzando la non necessità di vivere schiacciati da dogmatismi imposti da individui, gruppi, istituzioni, ecc., Stato compreso, finiscono per sostenerne l’insuperabilità, motivando la “forma-Stato” sulla base di una sedicente evoluzione dell’io, intesa come scopo dell’agire umano nella storia, in coerenza con i princìpi di una filosofia della libertà in base alla quale sia sostituita ogni legge positiva (devi fare questo e quello…) con la relativa legge negativa (non devi fare questo e quello…) scientificamente finalizzata a proibire ogni non libertà.

È incredibilmente pazzesco ma è proprio così: l’“ingannosofo” cade nell’inganno da lui stesso tramato: in base alla sua rappresentazione di libertà dice “Basta” alle imposizioni! E credendo semanticamente che imporre proibizioni non significhi imporre ma solo proibire per lui l’unica cosa “imponibile” è la proibizione di tutto ciò che impedisce di essere liberi. Così, affannandosi nel predicare di sostituire per esempio l’imposta della “decima” - cioè la legge che imponeva al contadino di dare il dieci per cento del raccolto al suo signore o imperatore o dirigente territoriale - con la proibizione di tenere per sé più del novanta per cento del proprio raccolto o reddito, l’“ingannosofo” è convinto di salvaguardare così la sua libertà, in quanto egli può dire: “Io sono libero, se voglio, di dare più della decima al mio signore”, ed essendo libero di pagare più del dovuto, non si accorge della stupida ipocrisia che si nasconde in quella arzigogolata libertà, dato che pagare una tassa per via impositiva o per via proibitiva è sempre un privarsi del reddito proveniente dal sudore della propria fronte!

Ovviamente, qualora in un sistema legislativo si attuasse veramente questa stupida ipocrisia dell’“ingannosofo” si cadrebbe solo da un’antica padella a una “nuova” brace, o dal sistema antico della carota e del bastone ad un nuovo sistema in cui al posto del bastone ci sarebbe un bastono ricoperto dal guanto dell’ipocrisia, in una sorta di magnifico e sempreverde pugno di ferro in guanto di velluto…

Il tutto riconfigurerebbe così l’inattesa ricaduta nel dogmatismo, grazie ad una malintesa - cioè moraleggiante - finalità del compito dell’umanità: se il compito dell’uomo consiste nell’avvicinare sempre più l’uomo ad una condizione etica che renda superfluo il ricorso allo Stato e se tale compito è infinito, e dunque non giunge mai a determinazione concreta, allora non solo lo Stato non può mai essere superato, ma diventa esso stesso l’inatteso “noumeno” (o realtà essenziale o “cosa in sé”) che la prassi trasformatrice dell’io non può affatto rimuovere. È così in realtà che secoli fa pensava J. Gottlieb Fichte, e che oggi ancora pensa il suo ripetitore Archiagottlieb surrettiziamente forzando ogni pagina della filosofia della libertà di Steiner.

L’idealismo dell’“ingannosofo” si capovolge così, grazie al fraintendimento del compito dell’uomo, nel dogmatismo che egli voleva debellare. La terapia adottata diventa allora mortale esattamente come la malattia che si voleva curare.

Il fraintendere una cosa incomincia dal sopra accennato punto in cui il concetto di essa incontra la propria percezione.

L’“ingannosofo”, nel suo idealismo di base, non riesce minimamente a cogliere tale punto, convinto com’è che concetto e percezione abbiano contenuti diversi, e che quest’ultima va considerata un inganno da superare (P. Archiati, “La percezione. Un inganno da superare”, Ed. Archiati, 2004) o addirittura “il momentaneo spegnersi del pensare” (P. Archiati, 3° seminario sulla filosofia di Steiner, tenuto a Rocca di Papa - Roma - dal 14 al 17 febbraio 2008), come se il percepire dei sensi non comprendesse anche un senso per il pensare, o come se il percepire sovrasensibile non fosse realtà. Lo spirito del linguaggio non contraddice forse questo materialismo (e/o intellettualismo) di Archiagottlieb quando si parla di soppesare o di percepire intendendo il riflettere pensante? Il contenuto di un concetto e quello di una percezione sono forse antitetici o nemici? Per l’“ingannosofo”, sì. Per la realtà, no.

Scrive Steiner: “Il concetto è altrettanto individuale, altrettanto pieno di contenuto quanto la percezione. La sola differenza sta in ciò che per afferrare il contenuto della percezione non occorrono se non sensi aperti e contegno puramente passivo di fronte al mondo esterno, mentre il nucleo ideale del mondo deve nascere nello spirito per la spontanea attività di quest’ultimo se, in genere, ha da manifestarsi. È vacuo e ozioso dire che il concetto sia nemico della percezione piena di vita. Ne è l’essenza, il vero principio attivo e operante in essa; e aggiunge il proprio contenuto al suo SENZA ABOLIRLO [il carattere maiuscolo è mio - ndr], poiché come tale non lo riguarda” (R. Steiner, “Le opere scientifiche di Goethe”, cap. 8°).

Ecco invece come Archiagottlieb predica il contenuto della percezione per ABOLIRLO. Quanto sto per dire ha dell’inverosimile. E soprattutto ha dell’inverosimile il fatto che nessuno mai si sia accorto, soprattutto in ambito antroposofico, del fatto che Archiagottlieb usa Steiner per abolire il contenuto della percezione in nome del contenuto dello spirito ed approdando così a quel monismo obsoleto che Steiner ha sempre combattuto.

Spiegando l’aggiunta finale alla nuova edizione del cap. 3° de “La filosofia della libertà” e riferendosi al concetto di intermittenza luminosa, Archiagottlieb afferma: “Nella percezione ho un mondo non reale ma astratto, perciò frammentato all’infinito; ma questa frammentazione è astratta: astrae dalla realtà perché la realtà è il NODO che mette insieme tutto quanto. Quindi la materia, la cosiddetta materia è l’astrazione dalla realtà dello spirito. Astraendo dalla realtà dello spirito, che è continua, l’astrazione della materia, quindi la cosiddetta materia, il mondo della percezione è l’astrazione più grande che ci sia perché astrae dalla realtà dello spirito. Quindi nella percezione ho un’astrazione non una realtà, e perciò è frammentata” (P. Archiati, 3° seminario sulla filosofia di Steiner, tenuto a Rocca di Papa - Roma - dal 14 al 17 febbraio 2008).

Se si esamina il primo pensiero di questa affermazione alla luce di un intelletto che non sia intellettualismo si scorge già il primo errore. Egli dice “Nella percezione ho un mondo non reale ma astratto”. Astratto da chi? Astratto da cosa? L’unica cosa al mondo capace di astrarre è il pensare. Dunque qui non abbiamo affatto una percezione ma già una mediazione di pensiero. Lo sperimentare la percezione osservata da Steiner è sempre e soltanto quella della percezione immediata, cioè dell’aggregato sconnesso di sensazioni non ancora mediato dal pensare. Poi dice: perciò frammentato all’infinito; ma questa frammentazione è astratta: astrae dalla realtà perché la realtà è il NODO che mette insieme tutto quanto”. Il soggetto dell’astrarre qui è la frammentazione! Invece dovrebbe essere il pensare, no? Però Archiagottlieb non può dirlo perché se lo dicesse ammetterebbe di parlare non della percezione ma del pensare. Infatti come fa una frammentazione ad astrarre? Questo fatto della frammentazione che astrae avviene dunque solo nella mente arruffata di Archiagottlieb, secondo il quale la frammentazione astrae dalla realtà perché la realtà è il NODO che mette insieme tutto quanto! No! Non è così. Se fosse così avremmo che l’uomo è libero e/o monista grazie alla realtà, non grazie a se stesso. La realtà non è quel NODO. La realtà è fatta di percezione e di concetto non ancora “annodati”. Ed il fatto che percezione e concetto non siano ancora annodati in quel PUNTO DOVE SOGGETTIVO E OGGETTIVO S’INCONTRANO ma che ciò attenda l’opera umana non rende l’uno nemico dell’altro: “Ne è nemico soltanto quando UNA FILOSOFIA CHE FRAINTENDE SE STESSA vuol trarre fuori dall’idea tutto intero il ricco contenuto del mondo sensibile; perché in tal caso essa presenta, invece della natura vivente un VUOTO SCHEMA DI FRASI” (“Le opere scientifiche di Goethe”, op. cit. ibid.)

“UNA FILOSOFIA CHE FRAINTENDE SE STESSA” è appunto l’“ingannosofia” dei vari Archiagottlieb circolanti a piede libero in veste antroposofica.

Più avanti, per spiegare le percezioni, Archiagottlieb pone un’equazione presa dall’ambito musicale che fa solo confusione. Egli dice: “Le percezioni stanno al pensare come le macchie d’inchiostro nere stanno alla musica” (P. Archiati, 3° seminario sulla filosofia di Steiner, tenuto a Rocca di Papa - Roma - dal 14 al 17 febbraio 2008), facendo intendere che quelle macchie sono la notazione musicale. Ma le cose non stanno così. Quelle macchie, cioè l’aggregato sconnesso di sensazioni di chiaroscuro che mediante il pensare concettualizzo come note, pause, battute, ecc., sul pentagramma musicale sono GIÀ realtà in quanto percezioni e concetti. La loro realtà è di essere notazione, perché solo in questa loro realtà possono evocare precisi rapporti di intervalli sonori. La musica ha tutta un’altra realtà fatta anch’essa di percezione e concetto ma non è musica per via della notazione. Infatti si può produrre musica anche senza conoscere una nota scritta! Allo stesso modo si può parlare di ogni scrittura. La scrittura non è scrittura in quanto contenuto di ciò che evoca. Il contenuto evocato e il contenuto di una scrittura sono due cose differenti, dato che la sostanza del primo e la sostanza del secondo sono differenti.

Ma vediamo come Archiagottlieb arriva a FRAINTENDERE tutto spiegando Steiner e svisandolo.

Egli legge: “Chi nel pensare vuol vedere qualcosa di diverso da ciò che vien prodotto nell’io stesso come attività - attività continua quindi, non frammentata, attività di sintesi - osservabile, deve anzitutto rendersi cieco di fronte al semplice dato di fatto evidente all’osservazione, per poter poi mettere a base del pensare un’attività ipotetica - frammentata, che riaccende il pensare a ogni pié sospinto” (ibid.).

E spiega che “IL PENSANTE [lo spirito pensante] ED IL PENSARE SONO LA STESSA COSA” (ibid.). Ma non sono la stessa cosa! Dicendo che il pensante ed il pensare sono la stessa ci si rende davvero ciechi ma sul fatto che il pensare inconscio NON È LA STESSA COSA del pensare conscio!

NON SONO LA STESSA COSA pur avendo la medesima natura. Che non siano la stessa cosa non significa infatti che il loro contenuto percettivo sia un’attività di un’altra natura.

Questo e non altro intendeva ed intende significare Steiner scrivendo l’aggiunta finale alla nuova edizione del cap. 3° de “La filosofia della libertà” a proposito di intermittenza. Pensante e pensare sono la stessa cosa solo non distinguendo di cosa si tratta o distinguendo in modo assai grossolano.

Insomma, delle due l’una: o si pretende di predicare la filosofia della libertà senza pensare, oppure si pensa. Il “pensare attivo” ed il “pensato”, cioè “i risultati di un’attività non

cosciente che sta a base del pensare” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, Aggiunta alla nuova edizione, cap. 3°).

Resta quindi da stabilire, e questo è il punto se l’“attività non cosciente che sta a base del pensare” sia altra dal pensare o altro pensare. Io so che è “altro pensare”, dato che si tratta di attività che, a partire dalla fonte “incosciente” dell’io, attraversa prima la regione “subcosciente” della “psiché”, poi quella “precosciente” della “physis”, e sfocia infine, arrestandosi, in quella “cosciente” del “sòma”.

Come si può osservare, l’ordinaria coscienza del pensiero è una coscienza “postuma”, cioè una coscienza che resta nell’oscurità per tutto il tempo in cui il pensiero risplende e vive, per illuminarsi solo quando il pensiero tramonta e muore.

Il morto pensiero cosciente non viene dunque, come crede von Hartmann, da attività di altra natura, ma dal precosciente o incosciente pensiero vivente. È casomai il morto pensiero cosciente a essere di natura differente, ma solo nella misura in cui un essere vivente è altro dalla propria fotografia o dalla propria salma.

Gli “ingannosofi” non sono solo coloro che come Pietro Archiati, parlamo di scienza dello spirito di Steiner essendone sprovveduti e sostituendola col “Vuoto della scienza” di Fichte o con altre filosofie della moderna new age americana - Schopenhauer la chiamava “Vuoto della scienza” sostituendo il termine “Wissenschaftslehre”, “dottrina della scienza” con “Wissenschaftsleere”, che significa appunto “vuoto della scienza” (A. Schopenhauer, “L’arte di insultare”, Adelphi, Milano 1999, p. 64). Sono tutti coloro che da secoli pretendono arrampicarsi sullo spirito attraverso VUOTI SCHEMI DI FRASI (“Le opere scientifiche di Goethe”, op. cit. ibid.), già a partire da Kant, col suo “noumeno” senza contenuto, da Schopenhauer stesso col suo mondo di rappresentazione, da Avenarius col suo empiriocriticismo, ecc., fino ai preti o mezzi preti attuali del “pensiero”, che da decenni ho battezzato “mentecattocomunista”.

Credendo di combattere il materialismo con l’idealismo, i vari Archiagottlieb del mentecattocomunismo planetario non si rendono minimamente conto del fatto filologicamente e storicamente incontrovertibile in base al quale il “codice filosofico” della cosiddetta “filosofia della prassi” è tutt’altro che materialistico. È idealistico! E nemmeno si rendono conto che la formazione di questo “codice” risale proprio alla “Wissenschaftslehre” di Fichte. Sottolineo che Kant, in una solenne dichiarazione pubblica del 1799 prese ufficialmente le distanze da Fichte, affermando che il proprio sistema era radicalmente incompatibile con quello di Fiche, che definì come “metafisico” e metafisico addirittura in senso “scolastico”! Comunque entrambi i sistemi si fondavano sulla metafisica della morale universale, che sostanzialmente bloccavano, anche se in modo diverso, la gnoseologia al “noumeno” cioè alla cosa in sé (Ding an Sich). Ecco perché perfino Lenin poi lodò quel mantenimento kantiano del “noumeno” come “elemento materialistico della filosofia di Kant” (cfr. Costanzo Preve, “Una approssimazione al pensiero di Karl Marx. Tra materialismo e idealismo”, Saonara, 2007).

In poche parole, kantianamente o fichtianamente, gli “ingannosofi” distinguono ancora il cosmo dal “cosmo in sé” o dal “non-io”, in nome della conoscenza (Kant) o della morale necessità della “forma Stato” o di “Stato etico assoluto” (la “cosa in sé” di Fichte), studiando e predicano la morale universale fondata ancora oggi su dualismo e/o su monismo malinteso.

«Da un dualismo di questo tipo - scrive Steiner - scaturisce la distinzione tra oggetto di percezione e “cosa in sé”, distinzione introdotta da Kant nella scienza e fino ad oggi mai più rigettata» (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 7°, §3°).

Per chiarire, la reale dinamica del rapporto fra percezione e concetto durante il processo conoscitivo è la seguente: C’È UN ATTO PERCETTIVO DEL SOGGETTO, E C’È UN CONTENUTO OGGETTIVO DELLA PERCEZIONE, che il kantismo chiama “percetto” confondendolo col soggettivo risultato del processo percettivo. MEDIANTE IL PENSARE CHE CONCETTUALIZZA TALE CONTENUTO, L’OGGETTO DI PERCEZIONE È COSÌ CONOSCIUTO. Il formarsi del concetto (nell’universalità del pensare) avviene gradualmente attraverso la rappresentazione (o concetto individualizzato)

Ogni conoscenza è invece per Fichte qualcosa di opposto allo spirito. Per Fichte l’attività conoscitiva fondamentale, resa possibile dall’immaginazione, è il rappresentare [Vorstellen] ed ogni conoscenza è innanzitutto “rappresentazione” [Vorstelung], che sintetizza per la coscienza una realtà oggettiva, cioè rende conosci­bile all’intelligenza dell’“Io teoretico” [theoretisc Ich] un non-io esterno OPPOSTO ad essa (cfr. “Fichte Fondamento dell’intera dottrina della scienza” a cura di Guido Boffi, Ed. Bompiani, Milano 2003, pag. 670)!

Da qui l’arzigogolo di Archiagottlieb sul sopra citato “NODO” della realtà e sulla percezione da lui fichtianamente vissuta come immagine rappresentativa opposta, e quindi come inganno da superare (“La percezione. Un inganno da superare”, op. cit)!

Questa confusione è difficile da eliminare proprio perché l’esperienza della percezione colta nel suo stato ancora antecedente il pensare non tutti riescono ad avvertirla. Ecco perché si scambia la percezione col giudizio di essa, che è quindi non antecedente ma successivo al pensare, il quale è già entrato in gioco per poter giudicarla come quel dato oggetto.

Ecco la convinzione erronea di un altro prete in merito al fenomeno della percezione consistente nell’incontro dell’essere del soggetto con l’essere dell’oggetto.

Non si pensi che sia cosa evidente: don Luigi Giussani, ad esempio, è convinto che sia già il giudicare a ricevere il “colpo dell’essere” (L. Giussani, “L’attrattiva Gesù”, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1999).

Ma non è così.

Il “COLPO DELL’ESSERE” avvia il processo percettivo, così come l’“immagine percettiva” lo conclude. Molti fraintendimenti derivano proprio dal fatto che, grazie a questa immagine FINALE prendiamo coscienza dell’esistenza dell’oggetto. Kant distingue, dice Steiner, “fra oggetto della percezione e cosa in sé”. Ora, se “oggetto della percezione” non è la “cosa in sé”, dovrebbe esserlo allora l’immagine percettiva... Ma considerarla “oggetto della percezione” significa però confondere, SIA l’immagine percettiva dell’oggetto (che ha forma, come ha forma la rappresentazione) con il percetto (che non ha forma, come non ha forma il concetto), SIA il percetto con l’essenza dell’oggetto (che non è solo percetto, ma unità di percetto e concetto).

IL PUNTO DOVE SOGGETTIVO E OGGETTIVO S’INCONTRANO possiamo chiamarlo come vogliamo: NODO come lo chiama Archiagottlieb, o COLPO DELL’ESSERE come lo chiama Luigi Giussani. Ciò che conta è distinguere gli oggetti di percezione dai loro concetti senza opporre i primi ai secondi o viceversa né abolirli in nome di un monismo malinteso, che è solo pensiero malato.

La trasformazione dell’antroposofia nell’“ingannosofia” procede proprio da questo malanno in cui il sano intelletto si sclerotizza intellettualisticamente, si rammollisce sentimentalisticamente, o si disprezza volontaristicamente.

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8 luglio 2013 1 08 /07 /luglio /2013 11:06
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5 luglio 2013 5 05 /07 /luglio /2013 10:17
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2 luglio 2013 2 02 /07 /luglio /2013 15:26
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30 giugno 2013 7 30 /06 /giugno /2013 11:16
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