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22 dicembre 2011 4 22 /12 /dicembre /2011 13:56

epicheia.jpgPer parlare di epicheia occorre innanzitutto fare un po' di chiarezza sul cosiddetto senso dello Stato.


Il senso dello Stato è il senso del materialismo arimanico dove ogni deficiente impera.


Ciò che Giacomo Leopardi e Rudolf Steiner chiamavano Arimane, che per Goethe era Mefistofele, per Paolo di Tarso, Belial, per gli evangelisti, Satana, e per Gesù, "mammona" (termine aramaico simile all'ebraico moderno "mimen", che significa "finanziare") è, appunto, da me chiamato DODI&C (Compagnia Dove Ogni Deficiente Impera).


Con questo acrostico, intendo indicare quello stesso demone vivente realmente in una categoria precisa di persone, quella dei gregari, tanto accidiosi quanto portatori di "pensiero" debole, che in realtà non è pensiero ma passibità, sentire, emotività, agitazione, da essi ritenuti pensare: il "pensato" è sentito da costoro come Stato perché il participio passato di un essere, vale a dire ciò che partecipa ma solo in parte alla sua natura, e che non è presente nel qui ed ora, ma è "passato" - appunto - nell'oggetto, percepibile materialmente in ciò che lo rappresenta come pezzo di carta, offre - ma solo alle inconsce paure dei materialisti - più sicurezza perfino dell'affermazione di sé: "Io sono".


Infatti ancora oggi questa affermazione esige (ed è impensabile senza) l'oggettivazione di che si è. Io sono che cosa?


Dire "io sono" come fece Gesù di Nazaret durante il suo processo intendendo "io lo sono" in riferimento a Yhwh (nome impronunciabile di Dio, che solo Dio poté dire di sé a Mosè sul Sinai annunciando "Io sono l'io sono") comporta - come è rilevato da recenti studi giuridici del processo di Gesù - la condanna per le "aspirazioni criminali di Gesù: predicazione (blasphemia) e regalità (lesa maiestas)" (Massimo Miglietta, "Gesù e il suo processo nella prospettiva ebraica").


Oggi, la "lesa maiestas" dovrebbe essere la sovranità del popolo, dato che non c'è più Cesare.


Eppure nella nostra democrazia tale sovranità è di fatto un enunciato meramente formale privo di sostanza.


L'affermazione dell'io in quanto vera divinità è infatti di massimo disturbo per lo spirito arimanico dello statalismo della dodi&c. Cosa comporta ciò?


Comporta che l'antitesi Dio-Cesare nel "dare a Cesare quel che è di Cesare, "spesso interpretato come dimostrazione e fondamento della lealtà dei cristiani verso l'autorità civile" (ibid.), possa essere letto in senso non più positivo (e quindi impositivo di imposte di Stato) ma negativo come di "non dare a Cesare ciò che è di Dio" (C. Cohn, Processo di morte di Gesù. Un punto di vista ebraico in M. Miglietta, "Gesù e il suo processo...", op. cit.), vale a dire dell'io umano nel senso di cristiano.


Questa visione delle cose non può non portare al diritto individuale di epicheia, cioè di equità a discrezione dell'io (Dio) nell'ubbidire o no a questa o a quella legge se ritenuta o no iniqua, per esempio nel non pagare o nel pagare i tributi a Cesare o il signoraggio ai signori creatori dal nulla della moneta odierna.


Che le cose stiano così, e cioè che il materialismo e la correlativa accidia che lo sostanzia nella tendenza a "non volerne sapere" di impiegare maggiore giudizio critico nel proprio "pensiero" debole, lo si può osservare anche nel dogma del materialismo, consistente nel non riconoscimento della concretezza spirituale dell'idea.


Il materialismo è infatti incapace di fraternizzare, dato che non riesce a fraternizzare neanche con la parte idealistica di sé (l'idea della materia non è riconosciuta dal materialismo).


Pertanto può solo fingere la fraternità, dogmaticamente costringendo verso la propria monovalente dialettica qualsiasi pensiero altrui, o qualsiasi richiesta di coerenza logica col proprio principio (principio che tutto fonda sulla materia).


Anche quando il materialismo è dotato di capacità analitiche raffinatissime, non può NON essere dogmatico, perché ignorando l'incorporeo movimento del "pensiero materialista" (il cui soggetto non può NON essere l'idea per quanto da esso ignorata come realtà), o la propria interna verità, attribuisce verità a ciò che è fuori di sé, e che, da fuori, impone assolutezza come eterodirezione di sé.


Ecco allora, da tale imporre, provenire, come cosa buone e giusta, le imposte, le tasse, le leggi, la carta: rimasugli di imperialismo romano, o del faraone ritenuto Dio, o del Signore della giurisdizione territoriale, o dell'apparato statale sovieticamente inteso!


Ecco perché il materialismo è un "pensiero" che concepisce, piuttosto che la comprensione, l'eliminazione di coloro che lo contraddicono, e che perciò tende a fare della propria impotenza una forza fratricida: fingendo la fraternità, un simile "pensiero" costringe l'organizzazione dei singoli ad una forma esteriormente fraterna, meccanicamente sociale.


Di conseguenza serpeggia fra i singoli, al posto del collegamento interiore, la corrente del sospetto e dell'odio. Segno questo che indica l'esigenza di una via diversa dalla partitocrazia del "participio" o del senso di Stato, i quali non possono non essere non coercitivi.


Concludendo questa prima disanima sull'epicheia, faccio notare che i soli punti di vista sopra citati, mostrano come il senso dello Stato non sia altro che il senso satanico dei conati di succubanza fantozziana ad un anacronistico cesaropapismo, che l'individualismo etico dell'uomo moderno non può che stornare da sé.


In base a ciò credo di poter dire che il cristiano odierno (senza alcun riferimento ovviamente ai nati cattolici senza essere divenuti mai cristiani) dovrebbe essere in grado di "vedere" (sovrasensibilmente) che coloro che oggi parlano di "senso dello Stato" non sono altro che, nel migliore dei casi, mascherati manipolatori di capitali, e nel peggiore, i loro reggicoda, che Gesù avrebbe chiamati tutti "sepolcri imbiancati".

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21 dicembre 2011 3 21 /12 /dicembre /2011 15:09

Si deve imparare a diffidare della Cultura di Stato (scuole dell'obbligo, Rai, ecc.) delle diagnosi mediche, soprattutto nell'ambito dei comi da trauma cranico. L'affidamento acritico favorisce la degenerazione della sanità ed il crimine. E si può dire che quasi giornalmente tali crimini avvengono oramai come cosa buona e giusta in nome della donazione degli organi!
I fatti raccontati, per esempio, nell'articolo del Corriere della Sera di lunedì 19 dicembre 2011, su un bambino, dato per morto, che è vivo, in quanto la madre si oppose alla donazione degli organi, dimostrano ancora per l'ennesima volta che la "morte cerebrale" è una finzione utilitaristica e che alla richiesta dei medici di donare gli organi va risposto un NO categorico, totale , duro (cfr. l'articolo "Il ragazzo vissuto due volte").
La richiesta di organi è sempre un atto crudele, scandaloso, disgustosamente tragico, vile e ricattatorio.
http://www.antipredazione.org

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20 dicembre 2011 2 20 /12 /dicembre /2011 16:52
L'idea del mercato del lavoro è mafiosa esattamente come il primo articolo della costituzione italiana che recita "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro".
Prova ne è che oggi lavorano le macchine e licenziano gli umani, divenuti schiavi da un lato in mano a politici corrotti in quanto malati mentali o tutt'al più fagni, furbetti, e dall'altro a "tecnici", che invece sono solo... bastardi dentro... Per cui per lavorare... bisogna pagare...
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20 dicembre 2011 2 20 /12 /dicembre /2011 09:27

[continuum da "La questione sociale come fatto di cultura, di diritto e di economia", 1ª conf di Zurigo del 24/10/1919]

 

Cari ascoltatori, con una simile concezione del mondo, che viene vissuta come ideologia - così da dirsi: diritto, morale, religione, arte e scienza sono solo una sovrastruttura, nient'altro che fumo che esala dall'unica realtà che sono i rapporti di produzione, che è l'ordinamento economico -, con una simile mentalità si può ben pensare, ma non si può vivere. Con una simile visione del mondo, per quanto imponente per ciò che riguarda l'indagine della natura,
l'anima umana viene svuotata. E ciò che questa concezione causa nell'anima umana agisce a sua volta nelle realtà sociali dell'epoca moderna.


Si fa torto a queste realtà sociali se si osserva soltanto ciò di cui gli esseri umani sono consapevoli. Partendo dalla loro coscienza gli uomini possono ben dire: "Ah, ma cosa ci venite a raccontare? Che la questione sociale è una questione culturale e spirituale? La cosa importante è che i beni economici sono distribuiti in modo ingiusto. Noi lottiamo per una distribuzione equa".


Gli uomini possono sentire cose simili a livello conscio, ma nelle profondità inconsce della loro anima si agita qualcos'altro. È qualcosa che si sviluppa inconsciamente, poiché da ciò che è cosciente non scaturisce quello che sarebbe il vero appagamento spirituale dell'anima, poichè in essa agisce solo ciò che svuota le anime, in quanto viene percepito come pura ideologia.


È il vuoto della nuova vita culturale che dev'essere visto come primo elemento della questione sociale. Questa questione sociale è in primo luogo una questione culturale-spirituale.


E poiché le cose stanno così, poiché si è sviluppata una vita culturale che nell'ambito dell'economia è diventata, per esempio in campo universitario, un passivo osservare, un semplice rilevare i fatti non più in grado di generare le forze di un volere sociale - poiché si è giunti al punto che i migliori filantropi come Saint-Simon, Louis Blanc e Fourier hanno elaborato degli ideali sociali a cui nessuno crede, poiché ciò che proviene dallo spirito viene sentito come utopia, come pura e semplice ideologia, proprio perchè è una realtà storica il fatto che si è sviluppata una vita culturale che ha solo una funzione di sovrastruttura della vita economica, che non interviene nei fatti e che viene perciò vissuta come ideologia -, è proprio per tutto questo che la questione sociale va intesa in primo luogo come questione culturale-spirituale.


Oggi abbiamo davanti a noi questa domanda, scritta a caratteri di fuoco: come deve formarsi lo spirito umano per poter venire a capo della questione sociale?


Si è visto che la mentalità scientifica ha messo mano con il suo metodo migliore all'economia politica. È giunta ad una semplice osservazione, non ad una volontà sociale. Quindi, dal fondo della più recente vita culturale deriva una disposizione d'animo che non è in grado di trasformare l'economia per porla alla base di un volere sociale pratico.


Come dev'essere plasmato lo spirito perché da lui provenga un'economia tale da poter costituire la base di una vera volontà sociale?


Si è visto che le grandi masse gridano solo "Utopia!" quando sentono parlare degli ideali sociali di filantropi benintenzionati. Non credono affatto che lo spirito umano sia abbastanza forte da padroneggiare le realtà sociali. Come dev'essere allora la vita culturale, come dev'esser fatto lo spirito dell'uomo per far sì che gli uomini possano di nuovo credere che lo spirito può avere idee in grado di formare le istituzioni in modo tale che i danni sociali
spariscano?


Si è visto che in vaste cerchie quella che è la concezione del mondo a orientamento scientifico viene percepita come ideologia. Ma l'ideologia come unico contenuto dell'anima umana la svuota, e nelle profondità del subconscio produce quello che oggi si manifesta nei fatti confusi e caotici della questione sociale. Come dev'essere allora la vita culturale per non produrre più un'ideologia, ma per poter riversare nell'anima umana le forze che la rendano capace di intervenire nelle realtà sociali così che gli uomini sappiano davvero comportarsi in modo sociale gli uni accanto agli altri?


Cari ascoltatori, così si vede che la questione sociale è in primo luogo una questione culturale, che lo spirito moderno non è stato in grado di fornire qualcosa che colmasse l'anima, ma che l'ha svuotata con l'ideologia.

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19 dicembre 2011 1 19 /12 /dicembre /2011 16:49

macchina-umana.jpg[continuum da "La questione sociale come fatto di cultura, di diritto e di economia", 1ª conf di Zurigo del 24/10/1919]


[...] E a quel punto è subentrata una cosa significativa: questa concezione del mondo a orientamento scientifico è comparsa in contemporanea con il capitalismo, con la tecnica moderna. Gli uomini sono stati strappati ai loro antichi mestieri artigianali e soggiogati alla macchina, stipati nella fabbrica. Vivono con ciò a cui sono avvinti e che viene dominato dalla regolarità di ciò che è meccanico, da cui non scaturisce nulla che abbia a che fare con l'uomo.


Dall'antico artigianato si sprigionava ciò che rispondeva alla domanda sul valore e la dignità dell'uomo. La macchina astratta non da' alcuna risposta in merito. L'industrialismo moderno è come una rete meccanica che viene tessuta attorno all'uomo, in cui l'uomo si trova irretito senza però avere in cambio la soddisfazione che provava di fronte al prodotto del lavoro artigianale.


E così ha avuto origine la frattura nei confronti di coloro che lavoravano come classe operaia industriale dell'era moderna, quelli che stavano alle macchine, in fabbrica e che dal loro ambiente meccanizzato non potevano più trovare la fede nell'antica visione ancora piena di vita, che dovevano dar l'addio a tutto un patrimonio con cui non avevano più nulla a che fare, che accettavano la sola e unica spiritualità prodotta dalla cultura moderna, e cioè la concezione del mondo ad orientamento scientifico.


E come agiva su di loro questa concezione del mondo a orientamento scientifico? Agiva sui lavoratori in modo tale che essi si dicessero, che sentissero sempre più profondamente che tutto ciò che si trasmette come verità altro non è che pensieri, idee, qualcosa che ha solo una realtà concettuale.


Cari ascoltatori, chi ha vissuto con la moderna classe operaia, chi sa come il suo vissuto sociale sia andato gradualmente formandosi in epoca recente, sa che cosa significa una parola ricorrente negli ambienti operai e socialisti, la parola "ideologia".


Sotto gli influssi che vi ho appena descritto, per l'attuale umanità lavoratrice la vita culturale è diventata una pura ideologia. La concezione del mondo a orientamento scientifico è stata assorbita in modo tale per cui la gente si dicesse: "Trasmette solo pensieri!"


L'antica visione del mondo non voleva trasmettere solo pensieri, voleva dare all'uomo qualcosa che gli mostrasse che il suo spirito vive veramente in comunicazione con le entità spirituali del mondo. Le antiche concezioni di vita volevano dare allo spirito dell'uomo lo spirito, quella nuova invece gli dava "solo pensieri" e soprattutto nessuna risposta al quesito sulla vera natura dell'uomo. Perciò venne vissuta come un'ideologia.


E così si è formata la frattura con le cerchie dirigenti, dominanti, che avevano conservato la tradizione delle antiche usanze, delle antiche visioni del mondo, delle concezioni artistico-estetiche, religiose e morali dei tempi antichi e via dicendo. Queste classi dirigenti le hanno conservate in tutta la persona, testa, cuore e arti, mentre la loro testa assorbiva quella che è diventata la concezione del mondo a orientamento scientifico.


Ma una gran parte della popolazione non era più in grado di provare la minima inclinazione o simpatia per quelle tradizioni. Come contenuto di visione del mondo accettava solo la scienza e la assorbiva in modo tale da viverla come pura ideologia, come puro e semplice prodotto cerebrale.


Ci si diceva: l'unica realtà è la vita economica. È reale solo ciò che viene prodotto, il modo in cui le merci prodotte vengono distribuite, il modo in cui l'uomo le consuma, in cui l'uomo possiede questo o quello o lo cede ad altri e così via. Tutti gli altri elementi della vita umana - il diritto, la morale, la scienza, l'arte, la religione - sono come fumo che sale sotto forma di fatua ideologia dall'unica realtà che è quella economica.


E così per la grande massa la vita culturale è diventata un'ideologia, soprattutto per il fatto che le classi dirigenti non sono state capaci di tenere il passo con la nuova vita economica mentre la vedevano formarsi, non hanno saputo far sì che la vita culturale si ponesse alla guida di una vita economica che diventava sempre più complessa. Hanno conservato la tradizione dei tempi antichi, ragion per cui la vita culturale ha mantenuto più o meno lo stesso orientamento che aveva in epoche passate. La grande massa, invece, ha fatto sua la nuova visione del mondo, senza che questa le desse qualcosa che potesse riempire il cuore e l'anima.

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19 dicembre 2011 1 19 /12 /dicembre /2011 10:34

[continuum da "La questione sociale come fatto di cultura, di diritto e di economia", 1ª conf di Zurigo del 24/10/1919]

 

[...] La stessa cosa si è manifestata anche in un altro modo. Si è vista la comparsa di uomini generosi, benevoli, filantropi, dotati di sentimenti fraterni nei confronti dei loro simili. Ci basti citare Fourier, Saint-Simon e altri come loro, che hanno elaborato in maniera geniale delle idee sociali e che credevano che realizzandole nella vita umana si sarebbero create delle condizioni auspicabili dal punto di vista sociale.

 

Ora è ben noto come si comportano nei confronti di questi ideali sociali coloro i quali oggi vedono nella questione sociale soprattutto una questione di vita. Chiedete un po' a quelli che credono di avere un sentire socialista consono ai nostri tempi che cosa pensano delle idee sociali di un Fourier, di un Louis Blanc, di un Saint-Simon. Vi diranno che sono utopie, progetti di vita sociale con cui si fa appello alle classi dominanti: "Fate questo e quest'altro, così spariranno molti danni della miseria sociale".

 

Ma tutto quello che viene escogitato in termini di simili utopie non ha la forza di incidere sulla volontà degli uomini, rimane pura e semplice utopia. Si possono formulare le più belle teorie, così si dice, ma gli istinti umani - per esempio quelli dei benestanti - non ne faranno nulla. Sono ben altre le forze che devono fare ingresso nel sociale!

 

In breve, è sorto un radicale scetticismo nei confronti degli ideali sociali diffusi fra gli uomini a partire dalla sensibilità di oggi e dalla coscienza moderna. Questo a sua volta dipende da quanto è successo all'interno della vita spirituale e culturale dell'umanità nel corso della più recente evoluzione storica.

 

Spesso, miei cari ascoltatori, è stato sottolineato che quella che oggi appare come questione sociale è essenzialmente dovuta all'ordinamento economico capitalistico, che a sua volta deve la sua forma attuale al predominio della tecnica moderna, e così via.

 

Ma non si renderà mai giustizia a tutte le cose in questione se non si prende in considerazione anche qualcos'altro, se non si tiene conto del fatto che con l'ordinamento economico capitalistico, con la moderna cultura tecnologica, è sorto nel modo di vivere della moderna umanità civile un tipo particolare di ideologia, che ha portato grandi frutti, progressi signifi cativi e decisivi, soprattutto nella tecnica e nella scienza, ma di cui nel contempo va detto anche qualcos'altro.

 

Cari ascoltatori, esaminando l'una o l'altra cosa contenuta nelle mie opere, non potete negare che io sia un estimatore e non un detrattore o un critico di ciò che è sorto negli ultimi tempi grazie al modo di pensare scientifico. Riconosco pienamente che quanto si è verificato grazie alla concezione copernicana del mondo, grazie al galileismo, grazie all'ampliamento degli orizzonti umani attuato da Giordano Bruno e da molti altri, ha contribuito al progresso dell'umanità.

 

Però quello che si è sviluppato contemporaneamente alla tecnica moderna, al capitalismo moderno, è il fatto che le antiche concezioni del mondo si sono trasformate in modo tale per cui il modo di pensare dell'uomo d'oggi ha assunto un carattere fortemente intellettualistico e astratto, più che altro scientifico.

 

Ci basti ricordare - anche se al giorno d'oggi risulta scomodo prendere davvero in esame simili fatti - come quella che oggi chiamiamo con orgoglio la nostra concezione scientifica si sia sviluppata gradualmente a partire da antiche correnti di pensiero religiose, estetico-artistiche e morali, cosa che possiamo dimostrare in ogni particolare.

 

Queste correnti di pensiero avevano una certa forza propulsiva per la vita. Erano soprattutto contraddistinte da una caratteristica: rendevano l'uomo consapevole della spiritualità del suo essere. Queste antiche concezioni del mondo, che ognuno oggi può valutare come vuole, parlavano all'uomo dello spirito in modo da fargli sentire che in lui esiste un essere spirituale che vive in comunione con entità spirituali che reggono e intessono il mondo.

 

Al posto di questa concezione del mondo con una certa forza propulsiva sociale, con un effetto dirompente sulla vita, ne è subentrata una nuova, con un orientamento più scientifico. Questa nuova concezione ha a che fare con leggi naturali più o meno astratte, con verità sensibili più o meno avulse dall'uomo - con idee e realtà teoriche. E bisogna
considerare queste scienze naturali - senza minimamente privarle del loro valore - per quello che danno all'uomo, per quello che danno all'uomo così che lui possa trovare una risposta alla domanda relativa al proprio vero essere.

 

Queste scienze dicono moltissimo sui rapporti fra i fenomeni naturali, dicono moltissimo anche sulla costituzione fisica dell'uomo, ma quando vogliono fare delle affermazioni sull'intima natura dell'uomo travalicano il loro campo d'indagine. La scienza non ha risposte sulla natura interiore dell'uomo e fraintende se stessa quando fa anche solo il tentativo di fornire una risposta in proposito.

 

Ora non sto affatto sostenendo che quella che è la coscienza popolare comune a tutti gli uomini derivi dagli insegnamenti della scienza. Ma, cari ascoltatori, un'altra cosa è profondamente vera: il modo di pensare scientifico in quanto tale è scaturito da una certa predisposizione dell'anima umana moderna.

 

Chi oggi abbia una conoscenza profonda della vita sa, che a partire dalla metà del XV secolo, l'atteggiamento dell'anima umana a confronto con le epoche precedenti si è modificato profondamente. Sa che su tutta l'umanità, dapprima sulla popolazione urbana, ma poi anche nelle campagne, è venuta sempre più a diffondersi quella visione del mondo che ciò che si è poi espressa come un sintomo nella corrente di pensiero scientifica.

 

Quindi, quando si parla dell'indole dell'anima umana moderna, non si ha a che fare con un semplice risultato di scienze teoriche, ma con qualcosa che dall'inizio della nuova era si è impadronito dell'umanità sotto forma di una nuova mentalità, di un nuovo modo di vivere.

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19 dicembre 2011 1 19 /12 /dicembre /2011 10:06

[continuum da "La questione sociale come fatto di cultura, di diritto e di economia", 1ª conf di Zurigo del 24/10/1919]

 

[...] Chi si sia fatto un'idea generale della più recente storia dell'evoluzione umana, troverà presto conferma di ciò che i saggi osservatori della vita sociale hanno espresso con sufficiente insistenza - benché solo quelli saggi. C'è un'opera del 1910 di cui si potrebbe dire che contiene alcune delle migliori idee scaturite da una vera comprensione delle condizioni sociali. È il libro di Hartley Withers: "The Meaning of Money" (Il significato del denaro).

 

In quest'opera si ammette abbastanza apertamente qualcosa che dovrebbe essere chiaro a chiunque si accinga ad occuparsi del problema sociale. Withers dice fuori dai denti: il modo in cui al giorno d'oggi le situazioni creditizie, patrimoniali e finanziarie figurano nell'organismo sociale è talmente complicato che finisce per disorientare se si vuole
analizzare in maniera logica le funzioni di credito, denaro, lavoro e via dicendo nell'organismo sociale. È praticamente impossibile procurarsi ciò che è necessario per capire davvero e per seguire in modo intelligente le cose che avvengono all'interno dell'organismo sociale.

 

E quanto viene espresso da un interlocutore così sagace viene avvalorato da tutto il pensiero storico sul problema sociale che possiamo seguire in questi ultimi tempi, sulla cooperazione sociale, soprattutto economica, degli uomini.

 

E che cosa abbiamo visto? Da quando sotto un certo aspetto la vita economica ha smesso di essere organizzata in modo istintivo-patriarcale, da quando è stata resa sempre più complessa dalla tecnica e dal capitalismo moderni, si è sentito il bisogno di riflettere su questa vita economica e di farsene delle idee allo stesso modo in cui lo si fa nella
ricerca scientifica, come avviene nel lavoro scientifico. E si è visto come negli ultimi tempi siano sorte delle opinioni sulla cosiddetta economia politica, come quelle dei mercantilisti, dei fisiocrati, quelle di Adam Smith e così via, fino a Marx, Engels, Blanc, Fourier, Saint-Simon e ai contemporanei. Che cosa è emerso nell'andamento del pensiero in fatto di economia politica?

 

Si può volgere lo sguardo a quella che era, per esempio, la scuola mercantilista o a quella fisiocratica dell'economia politica, ai contributi dati da Ricardo, il maestro di Karl Marx, all'economia; si possono prendere in considerazione diversi altri economisti e si finirà sempre per concludere che questi personaggi volgono lo sguardo a questa o a quella corrente presente nei fenomeni. Da questa corrente parziale cercano di ricavare determinate leggi in base alle quali plasmare la vita politico-economica.

 

Si è sempre visto che quello che si trova sotto forma di "leggi", in base al modello delle idee scientifiche degli ultimi tempi, si adatta ad alcuni fatti di economia politica; ma altre realtà dell'economia si rivelano troppo vaste per poter essere racchiuse in queste leggi. Le opinioni emerse nel XVII, nel XVIII e agli inizi del XIX secolo, che pretendevano di trovare le leggi in base alle quali plasmare la vita economica, si sono sempre rivelate unilaterali.

 

Poi è emerso qualcosa di molto, molto strano. L'economia politica è diventata finalmente "scientifica". È stata annoverata fra le nostre scienze universitarie ufficiali e si è cercato di studiare anche la vita economica con tutti gli strumenti della ricerca scientifica. E dove si è arrivati?

 

Vediamo dove sono arrivati Roscher, Wagner e altri: ad uno studio delle leggi economiche che non osa più sviluppare delle norme e degli impulsi volitivi davvero in grado di intervenire nella vita economica per darle una forma. Si potrebbe dire che l'economia è diventata puramente "contemplativa", speculativa. È in fondo arretrata di fronte a quello che si potrebbe definire un "volere sociale". Non è giunta a delle leggi che possano incidere sulla vita così che questa vita umana possa svolgere un'azione plasmante nella vita sociale.

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18 dicembre 2011 7 18 /12 /dicembre /2011 12:00
cretino.jpgCome nell'economia il valore non è altro che l'apparire della natura attraverso il lavoro umano, così nel parassitismo il valore non è altro che l'apparire della furbizia attraverso lo sgambetto. Questa volontà di apparire attraverso lo sporcare qualcuno nell'onore e nella moralità, in Sicilia si chiama "mascariamento": mascariare qualcuno è l'equivalente italiano di calunniare ma in senso più forte, cioè attraverso logica che poi a conti fatti si dimostra antilogica. Oggi il mascariamento si affaccia nel mondo politico come neologismo della commistione fra mafia e politica, ed è l'azione tipica di chi prepone l'apparire all'essere.

Non sto esponendo qui solo la dinamica di un mero fatto psicologico dell'ultima ora (cioè relativo al tentativo di mascariamento dell'avv. Marra, fatta da un arrivista) (cfr. http://youtu.be/0hDF28KlIdc), ma anche quella di un fatto storico di circa 43 anni fa, dato che il fondamento legale del mascariamento già lo avemmo, per es., nel decreto-legge del 15/12/79, n. 625 (Gazzetta Ufficiale, 17/12/79, n. 342: "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica", convertito poi nella legge 6/2/80, n. 15, Gazzetta Ufficiale, 7/2/80, n. 37), l'"etica" del quale incitava ed incita al... tradimento.

 

Fummo allora di fronte all'aspetto formale della "legalità" che, mediante parvenza, conferiva legalità al tradire. Il retroscena interiore di tale ricorso al "pentitismo" muoveva in tal modo incosciente il legislatore verso una direzione colludente col subumano. Direzione estranea alla tradizione occidentale del diritto, ma non estranea all'attività interiore violante ogni logica: in quanto dilaniata da mille contraddizioni (Violante appunto creò quella legge, e mai un cognome fu così azzeccato).

 

La suddetta legge restò così, per me, l'immagine speculare dell'odierna DODI&C, acrostico da me creato per caratterizzare il Corporativismo Dove Ogni Deficiente Impera, in cui si riflette il destino di un intero popolo di schiavi italioti, luminoso quanto al passato ed alle potenzialità inespresse, ma ancora tenebroso e oscuro in quel lato di sé dove l'Italia potrebbe avere il privilegio di incontrare un limite sconosciuto ad altri, che da sempre sollecita prove di fedeltà, fraternità e perdono come momento trascendente gli interessi di ogni partitocratico gregarismo. Infatti, la funzione del diritto non dovrebbe forse essere quella di conciliare i contrasti, con la sua certezza pacificare gli animi, anziché produrre continue divisioni, paure ed odio?

 

Invece no. Oggi il subumano è penetrato perfino nelle forze giovanili di chi per apparire salvatore della Patria dai problemi del signoraggio bancario, mostra di combatterli e di risolverli non solo attraverso lo stesso statalismo che li legalizzò col monopolio delle banche emittenti, ma attraverso ignobile mascariamento finalizzato al mero ottenimento di visibilità, grazie alla visibilità di altri combattenti come lui ma da lui traditi! Qui siamo nella malattia mentale.

Parvenza formale e forma sono due diverse realtà. Chi non le distingue sostituisce la ragione con l’architettura delle frasi, dato che la ragione confuterebbe il suo dire e il suo agire. L’assonanza relazionale tra gli enunciati senza possesso della relazione, per mancanza di connessione ideativa nel contenuto, e di inerenza nella forma, è tipica di depistatori o di espositori che hanno una pseudo dottrina da affermare insieme ad una insufficienza di pensiero da nascondere o un’alterazione mentale da esprimere.

 

Sorge la domanda: come mai la maggior parte dei giovani che si mettono in mostra per combattere il problema del signoraggio bancario dimostrano di essere essenzialmente alienati?

 

Un uomo di ritorno dall'ultima visione di un telegiornale, e quindi del sangue sparso da suoi simili a causa di questa o quella guerra o crisi o suicidio, ecc., potrebbe chiedersi: "Cosa conduce il genere umano a tutto ciò?".

 

La risposta è che siamo arrivati alla peggior condizione di globale inedia, distruzione, follia e paure ossessive che la storia umana abbia mai conosciuto; d'altra parte, nessuno può consolarsi al pensiero che se i Rothschild o Hitler, o i più criminali al mondo non fossero vissuti, tutto sarebbe andato bene. Le tragiche sofferenze di milioni di esseri umani non furono e non sono mai causate da un singolo uomo, gruppo o nazione. Esse sono sempre il risultato di una disposizione collettiva verso la vita - profondamente radicata - secondo la quale l'esistenza è innanzitutto una contesa di forze, come qualcosa che viene deciso dalle leggi della meccanica.

 

Là, dove la violenza si scontra con la violenza, alla fine l'uomo deve necessariamente soccombere. Di conseguenza, il credere che la vita umana sia soprattutto una contesa fra entità conflittuali può solò avere come logica conclusione un atteggiamento negativo verso la vita, il pessimismo filosofico e la tendenza all'insuccesso. Oppure può anche spingere verso il collettivismo; perché sembra ovvio che l'unica possibilità che gli uomini hanno di opporsi con successo al potere della natura è quella di cooperare completamente con l'umanità di intenti. Così il materialismo scientifico portò inevitabilmente al collettivismo sociale ed il marxismo al comunismo totalitario.

 

Oggi la logica che si impone è quella dell'essere visibili, dell'apparire, della parvenza, vale a dire della civiltà della menzogna. Non conta come io appaia, conta solo che io appaia perché il "fine giustifica i mezzi", quindi non sto neanche a riflettere se devo tradire un compagno di lotta o un collega o un amico! Opto per il mascariamento ache se costui fosse Gesù Cristo. Tanto oggi ciò che conta è essere visibili, essere personaggi pubblici, essere famosi, anche a costo di essere famigerati.

 

Una volta compreso che il fine essenziale della mia vita è la progressiva realizzazione del mio potere, che mi importa del mascariamento di questo o di quel mio simile? Nulla. Tanto il mio fine di "salvare la mia Patria dal signoraggio bancario" è giusto, quindi non mi faccio scrupoli nel fare sgambetti ai miei simili.

 

Ciò che sfugge in questa mancanza di riflessione è che ogni mezzo ingiusto rende iniquo qualunque fine giusto.

 

La patologia di questo novello "patriottismo" delinquenziale che lotta, appunto, per la "Madre Patria", è riconducibile, in senso psichiatrico, a conflitti irrisolti col "pater" o con la "mater", vale a dire a figure genitoriali inadeguate o poco sensibili.

 

La maggior parte dei complessi psicologici ha origine nell'infanzia o nella giovinezza, perché a quell'epoca giungono i primi shock che colgono il ragazzo impreparato o condizionato negativamente da una concezione della vita "forza-contro-forza" derivante dai suoi genitori o insegnata a scuola.

 

Come nella prima infanzia del ragazzo la madre con la sua cura amorevole nasconde, e nello stesso tempo svela, l'autorità del principio paterno della Legge, così la Grande Madre universale - nel cui grembo gli intellettuali bramosi di potere dialettico cercano di perdere il loro senso di forma individuale tanto sovrabbondante quanto irrealizzata - nasconde e svela la Volontà del Legislatore Supremo. Così, chiunque parli con enfasi della realizzazione del suo o altrui destino mediante leggi, mostra di aver trasformato una sua immagine genitoriale (paterna o materna) in una Legge Cosmica o in un Legiferatore. E chiunque magnifichi in tal senso un'ideologia nozionistico-dogmatica rivela una collettivizzazione e un'estensione della sua immagine genitoriale opposta, dietro cui si può vedere il profilo di un universalizzato principio patriottico del Padre o della Madre Patria.

 

In definitiva la Grande Madre e il Padre Universale possono assumere un'ampia varietà di forme a diversi livelli.

Non voglio dire che tutte queste forme siano solo espressioni di complessi materno e paterno in senso negativo. I processi con cui si rendono universali e trascendenti le funzioni genitoriali sono, anzi, non solo validi, ma essenzialmente necessari per l'evoluzione complessiva della coscienza e delle potenzialità umane.

 

Quando però si scopre il "signore" del "signoraggio" come la nozione più importante da capire per risolvere i problemi della "questione sociale" e l'egoismo dell'egoità si fa egotismo col sopraggiungere della pigrizia conoscitiva (perché: "io ho capito tutto, e lo so io come aggiustare il mondo"), l'elemento biologico anziché innalzarsi al mentale-spirituale, per incontrare la discesa dello spirito creativo che è un fattore "ideodinamico" universale, si fa paternalismo, il medesimo che generò traumi infantili o shock.

 

A questo punto, si aprono solo due prospettive: se la funzione genitoriale femminile del paternalista egotico è più forte del dovuto, l'obiettiva comprensione della situazione si dissolve in un senso di confusione e di dipendenza da una guida, generato dal timore di forze che sembrano soverchianti. Se, d'altra parte, la funzione genitoriale maschile si è accresciuta a spese di quella femminile, il potere teorico e tecnico di analisi obbiettiva domina così tanto la facoltà di adattamento immediato alle situazioni concrete della vita, che non si riesce a vedere alcuna soluzione pratica atta a far fronte con successo al bisogno personale del momento. Di conseguenza l'impostazione interiore è cristallizzata e viziata dal complesso paterno, ansioso di scoprire un ordine perfetto, un Piano Legale Universale e onnicomprensivo, relativo al "posto del destino" del paternalista egotico.


Se il padre reale fu prepotente o tirannico, l'individuo potrà avere un altro tipo di complesso; tremerà davanti all'autorità e si sentirà incapace di considerare la sua individualità come sua propria, e vedendovi un modello rigido, immobile, che regge ogni suo sentimento e agisce come un sostituto, affronterà la vita con dogmi, e le situazioni con regole fisse, l'amore con precetti etici eteroimposti. In lui, la fonte di creatività spirituale diventerà assolutamente arida.

Un intero libro si potrebbe scrivere sulle dinamiche psicologiche di questi cretini... cioè questi ammalati di protagonismo che fanno il male col fine di sconfiggere il male...

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17 dicembre 2011 6 17 /12 /dicembre /2011 16:39

Prima conferenza - La questione sociale come fatto di cultura, di diritto e di economia - Zurigo, 24 ottobre 1919

 

Chi oggi riflette sulla questione sociale dovrebbe aver ben chiaro che attualmente, in base alle lezioni forniteci dai fatti violenti degli ultimi tempi, questa non può più essere vista come una qualsiasi questione partitica, come una questione che scaturisce unicamente dalle rivendicazioni soggettive di singoli gruppi di uomini, ma che va intesa come una domanda posta all’umanità intera dallo svolgimento stesso della storia.

 

Quando parlo dei fatti decisivi che devono portare a questa visione, mi basta far notare come da oltre mezzo secolo il movimento proletario socialista abbia continuato a crescere. E di fronte alle idee che sono venute alla luce in questo movimento socialista operaio ci si può porre in atteggiamento di critica o di approvazione, a seconda delle proprie opinioni e delle proprie condizioni di vita, ma bisogna comunque prenderlo come fatto storico da considerare in maniera oggettiva.

 

E chi esamini gli ultimi terribili anni della cosiddetta guerra mondiale, non potrà nascondersi – pur vedendo qua e là delle cause e delle ragioni di altro tipo per questi orribili avvenimenti – che in definitiva sono state in gran parte le rivendicazioni sociali, i contrasti sociali a produrre questo orrore; e non potrà nascondersi che, proprio adesso che stiamo uscendo provvisoriamente da questi terribili eventi, emerge con estrema chiarezza come in gran parte
del mondo civile la questione sociale appaia come un risultato di questa cosiddetta guerra mondiale. Ma se appare come un risultato di questa cosiddetta guerra mondiale, allora non c’è dubbio che fosse già presente all’interno di questo conflitto.

 

A questo punto chi osservi i fatti in questione solo dal punto di vista immediato, che spesso è poi quello personale, come è così frequente al giorno d’oggi, chi non sia in grado di ampliare i propri orizzonti passando ad una considerazione generale degli eventi umani, non riuscirà a tenerli in giusto conto.

 

Ed è questo ampliamento degli orizzonti a cui mira il mio libro I punti essenziali della questione sociale, che dev’essere sviluppato soprattutto per la Svizzera mediante la rivista Soziale Zukunft che viene pubblicata qui a Zurigo.

Ora va detto che la maggior parte delle persone che oggi parlano della questione sociale vede in essa prima di tutto una questione economica. Sì, dapprima non vi vede nient’altro che una questione di pane e al massimo, e i fatti lo dimostrano fin troppo chiaramente, una questione di lavoro umano: una questione che riguarda il pane e il lavoro quotidiani.

 

Proprio volendo trattare la questione sociale come una questione di pane e di lavoro, bisogna rendersi conto che l’uomo riceve il pane perché è la collettività umana a produrlo e che la collettività umana può produrre questo pane solo se viene svolto del lavoro. Ma il modo in cui si deve lavorare dipende, sia complessivamente sia nei particolari,
dal modo in cui è organizzata la società umana, un qualsiasi territorio circoscritto di questa società umana, per esempio uno Stato.

 

E chi riesce ad ampliare la propria visuale si accorgerà presto che anche solo un pezzetto di pane non può aumentare o diminuire di prezzo senza che si producano enormi cambiamenti nell’intera struttura dell’organismo sociale. E anche chi osservi il modo in cui il singolo interviene nell’organismo sociale con il proprio lavoro vedrà questo: se il singolo individuo lavora anche solo un quarto d’ora in più o in meno, questo si ripercuote sul modo in cui la società di un settore economico circoscritto dispone di pane e denaro per il singolo. Da ciò vedete che anche volendo considerare la questione sociale solo come questione di pane e di lavoro si arriva subito ad un orizzonte più ampio.

In queste sei conferenze voglio parlare dei vari ambiti di questo orizzonte più ampio. Oggi ho intenzione di fare una specie di introduzione.

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17 dicembre 2011 6 17 /12 /dicembre /2011 12:07

A cura di Nereo Villa [testo in grassetto del curatore]

 

La vita sociale è costituita da tre sfere ben distinte fra loro, dato che in ciascuna di esse l’uomo può fare esperienze del tutto diverse. La prima sfera Steiner la chiama “vita spirituale”, in italiano forse meglio “vita culturale”. Qui gli uomini sperimentano i propri talenti individuali, la creatività della loro libertà interiore. Il polo opposto è rappresentato dalla “vita economica”, in cui gli uomini si dedicano al soddisfacimento dei loro bisogni. In questo settore dipendono dall’aiuto reciproco, dallo spirito di solidarietà. Un terzo ambito della vita sociale, la “vita giuridica”, ha il compito di ricreare sempre di nuovo il giusto equilibrio fra libertà individuale e solidarietà collettiva. Questo avviene nell’esperienza dell’uguaglianza come uomini, della parità di dignità, in base alla quale ogni uomo può far valere gli stessi diritti e gli stessi doveri nei confronti di chiunque altro.

Nella vita sociale del giorno d’oggi l’onnipotenza dell’economia si è imposta ovunque, valendosi del suo braccio destro che è il denaro. L’economia ha inglobato sia lo Stato che la cultura; ha strappato alla vita culturale l’amministrazione del capitale e dei mezzi di produzione – in altre parole: lo spirito è diventato sempre più impotente di fronte alle necessità oggettive dell’economia. Per risanare la vita sociale, occorre restituire alla vita culturale la gestione del capitale. Solo così è possibile riconoscere e apprezzare i talenti individuali, mettendo a disposizione di chi è portato per una determinata attività sia il capitale, sia i mezzi di produzione. Essere “dotato” non significa solo avere la capacità di realizzare o produrre qualcosa, ma soprattutto di farlo al servizio della società.

Per quanto riguarda la vita giuridica, nel suo strapotere l’economia si è appropriata anche della regolamentazione del lavoro, ha imposto con violenza un pagamento, una rimunerazione del lavoro. Ma in sé e per sé il lavoro umano non ha niente a che fare con la vita economica. Solo il risultato del lavoro in quanto separato dall’uomo, solo la merce o la prestazione come tali giocano un ruolo all’interno dell’economia. Gli interessi economici non devono mai determinare quanto e come un essere umano lavora.

Quel che si fa con il lavoro viene fatto direttamente al “lavoratore”, all’uomo stesso. Una retribuzione del lavoro equivale ad una umiliazione del lavoratore, che in tal modo viene pagato come una merce e non trattato come un essere umano. Quando ad essere pagato è il lavoro in quanto tale, e non il suo risultato, si crea una costrizione esistenziale al lavoro che, per mancanza di una motivazione positiva e altruistica, può solo arrecare danni incalcolabili all’economia.

Come l’amministrazione del capitale deve tornare in mano alla vita culturale, così in un organismo sociale sano tutta la regolamentazione del lavoro va affidata alla vita giuridica.

In queste conferenze Rudolf Steiner fa notare che, nonostante nella società moderna vi siano abbastanza leggi e regolamenti, non esiste più l’esperienza del diritto, che è “caduta in un buco”. In pratica la società moderna non offre agli uomini nessuna occasione di confrontarsi fra loro come pari, come esseri umani in quanto tali. Anche quando alcuni uomini conversano tra loro, magari parlano di sport, di politica, di donne o di qualunque altro argomento, senza accorgersi che non si stanno rapportando gli uni agli altri come “esseri umani” uguali, ma come “uomini maschi”.
E lo stesso vale per le donne. Gli uni e gli altri farebbero l’esperienza dell’uguaglianza della dignità umana, dei pari diritti e doveri solo se parlassero del mondo interiore dell’essere umano, dei suoi sentimenti e delle sue emozioni.
Uno dei compiti più urgenti nella formazione del sociale è il recupero dell’incontro tra uomo e uomo, cioè della sfera giuridica, dell’esperienza puramente umana di ciò che è “legittimo” e “giusto” fra persona e persona.

Nella vita culturale è il pensiero dell’uomo ad occupare una posizione di primo piano. Alla base di ogni talento, di ogni capacità c’è l’idea di come realizzare al meglio qualcosa.
Nella vita economica è la volontà ad essere in primo piano, lì l’uomo deve assumere un’occupazione e agire.
Però l’essere umano è dotato anche di sentimento, non solo di pensiero e volontà. E il senso del diritto, della giustizia è scomparso proprio per il fatto che nella società moderna in quanto tale alla vita del sentimento non è data la possibilità di esprimersi. Ma un atteggiamento che tenga conto della dignità umana, gli uomini possono viverlo solo tramite il sano sentimento, tramite la sensibilità umana nel rapporto diretto fra simili, per poi esprimerlo sotto forma di leggi.
Ciò che va riscoperto è la coscienza di quanto viene provato nell’incontro fra uomo e uomo, di quanto viene sentito e vissuto in termini di giustizia o ingiustizia.

Un esempio attuale: a livello mondiale, come reagiscono dal punto di vista emotivo le varie persone alle caricature del profeta Maometto apparse sui quotidiani europei? Il mondo occidentale conosce solo una reazione della mente e una della volontà, ma non una del cuore o del sentimento. La mente dice: esiste piena libertà di espressione, da noi c’è piena libertà di stampa; oppure: ci sono delle regole comunemente accettate di “political correctness”. La volontà dice: nessuno può limitare la mia libertà, oppure: con queste caricature mettiamo a repentaglio la vita dei nostri ostaggi. Ma cosa avviene se queste caricature offendono il più profondo sentimento religioso di centinaia di milioni di persone? Cosa succede se queste persone vivono la propria dignità umana come una sola cosa con i loro valori religiosi e si sentono disprezzate come esseri umani nel momento in cui si manca di rispetto alla loro religione? Si ha il diritto di ignorare o addirittura di ferire il senso di dignità umana di così tanta gente? Con la sua mente illuminata, chi è privo di un forte senso di giustizia e di ingiustizia non farà altro che rimproverare un’incontrollata emotività a chi prova tali sentimenti.

Il recupero della vita giuridica vera e propria presuppone da parte sua che la vita culturale ritrovi la propria autonomia. In queste conferenze Rudolf Steiner illustra in modo incisivo come nella società moderna una componente della vita culturale – la ricerca scientifi ca, l’educazione statale, la sociologia, le scienze economiche - sia diventata in tutto e per tutto dipendente dall’economia. Un’altra fetta della cultura – la religione, l’arte e la cosiddetta morale - è rimasta, sì, indipendente dall’economia, ma ha dovuto pagare questa autonomia con una totale impotenza nei confronti della vita. Morale, arte, religione si sono sempre più estraniate dalla vita, sono diventate sempre più inadeguate nei suoi confronti, poiché si sono sempre più ritirate da essa confinandosi all’ambito della cosiddetta “vita privata”.

La soluzione, semplice ma non facile, è questa: tutta la vita culturale dev’essere affrancata da quella giuridica e da quella economica, dev’essere amministrata autonomamente, secondo le sue proprie condizioni di vita. Questo vale in prima linea per l’educazione: l’essere umano non può essere educato in modo tale da essere un buon servitore dello Stato o dell’economia senza che questo produca danni incalcolabili per la società a tutti i livelli. Viceversa, il senso e il compito dell’educazione consistono nel mettersi al servizio dell’uomo, di ogni singolo individuo nella sua unicità.

Nella quarta conferenza, in cui viene descritta la vita culturale, è l’uomo come individuo libero ad occupare una posizione di primo piano, nell’ultima è l’umanità intera come organismo unitario, in cui ogni uomo vuol sempre più inserirsi. Per rimediare ai danni prodotti dalla cosiddetta globalizzazione è necessario che all’economia mondiale si affi anchino un diritto e una cultura mondiali. La duplice disumanità dell’economia odierna globalizzata si manifesta nel suo farsi sempre più ingiusta nei confronti dell’uomo – per esempio nella crescente militarizzazione della vita che annulla il singolo individuo – e sempre meno umana nei confronti della natura – per esempio nel materialismo che depreda e avvelena l’ambiente. L’umanità intera potrà avere giustizia solo quando un diritto veramente internazionale diventerà più forte di tutti i poteri di questo mondo. E il vicolo cieco del materialismo potrà essere superato solo da una scienza dello spirito che racchiuda in egual misura l’uomo e la natura.

A questo punto si potrebbe chiedere: ma come si fa? Queste idee, queste teorie possono anche sembrare molto belle, ma non si tratta di un’utopia bell’e buona?

L’elemento incoraggiante delle idee di Steiner consiste proprio nel loro rimandare a forze reali, effettivamente presenti in ogni uomo, per quanto inconscie o assopite. Questi pensieri portano in sé la forza necessaria per intervenire nella vita, per plasmarla a misura d’uomo in tutti i suoi campi. Ogni attività umana comincia con la presa di coscienza, con la comprensione in chiave di pensiero. Mettersi ad agire senza idee non è pratico, non fa altro che produrre ancora più confusione e disumanità. La caratteristica positiva e ottimistica delle idee di Steiner qui esposte sta proprio nel fatto che chiunque le può pensare, capire davvero e mettere in pratica subito là dove si trova, con sempre più energia giorno dopo giorno.

Ma è qui che sorge quello che forse è lo scoglio più insidioso per la vita moderna. Da un lato, nell’era della democrazia, nessuno vuol essere manovrato dall’esterno. L’uomo libero vive la sua dignità nella capacità che ha di agire in base alle sue convinzioni individuali. Ma questo significa nel contempo che l’unica via per un rinnovamento della vita sociale è quella che passa per la testa del singolo individuo. D’altro canto, una profonda illuminazione di questa testa non può avvenire col fatto che qualcuno preme un pulsante dall’esterno e neppure in un battibaleno all’interno. In questo modo si spiega l’impazienza di tante autorità, di tante potenze costituite, che cercano di eludere la mente dell’individuo valendosi della legge dello Stato o della costrizione dell’economia. Vogliono imporre ciò che fa loro comodo o che ritengono giusto diventando così sempre più patriarcali e anacronistiche. Così facendo sono a loro volta costrette ad esercitare il loro potere in maniera sempre più disumana, poiché sempre meno riescono a conquistare il cuore del singolo individuo. E come potrebbero farlo, dato che calpestano proprio l’elemento più sacro, il singolo uomo nella sua dignità e libertà?

È trascorso quasi un secolo da quando Steiner ha tenuto queste conferenze. Si potrebbe pensare che ci sia stato tempo a suffi cienza per mettere in primo piano la formazione della coscienza individuale, che qui viene richiesta con urgenza. Eppure in tutta onestà dobbiamo dirci che perfino coloro che hanno abbracciato la scienza dello spirito di Rudolf Steiner hanno fatto tragicamente pochi passi in questa direzione. E non si può in nessun modo accampare la scusa che i fenomeni di quell’epoca, che Steiner cita in queste conferenze, non siano più attuali. Proprio per il fatto di non essere più attuali da un punto di vista esteriore, questi eventi hanno per noi oggi due vantaggi decisivi: da una parte, grazie alla distanza dal punto di vista storico-politico, possono essere capiti con maggiore spassionatezza e obiettività - la storia può qui davvero diventare maestra di vita. Dall’altra parte, tutti i fenomeni storici a cui fa riferimento Steiner possono essere intesi come sintomi della situazione odierna dell’umanità, poiché questa nei suoi tratti essenziali non differisce quasi per niente da quella di allora. Le idee fondamentali della “triarticolazione” sono soltanto diventate ancora più attuali e urgenti di allora.

Ma se le cose stanno così, perché Rudolf Steiner non si è impegnato fin dall’inizio in ambito sociale? Come mai per tutti gli anni prima della guerra ha coltivato la sua scienza dello spirito quasi esclusivamente per teosofi o antroposofi, ai margini della vita e in maniera elitaria? Non avevano ragione quelli che sostenevano che occupandosi del sociale dopo la guerra aveva abbandonato la retta via? Non erano pochi quelli che non lo potevano o volevano seguire: nell’impegno sociale di Steiner vedevano addirittura una contaminazione della scienza dello spirito. Sostenevano che quest’ultima può mantenersi pura solo se la si coltiva nell’ambito protetto della vita privata.

Nel percorso personale dello stesso Steiner, nella sua biografia, vediamo esprimersi una legge fondamentale della vita e dell’evoluzione: ogni cosa compiuta dall’uomo deve avere origine nel pensiero. Non è possibile tralasciare la conoscenza, la formazione della coscienza e lo studio senza arrecare gravi danni alla vita stessa. Considerando anche solo le idee fondamentali della triarticolazione dell’organismo sociale quali vengono esposte in queste conferenze, ce ne sono più che a sufficienza di cose che vanno studiate e capite a fondo, prima di poterle mettere in pratica in maniera sensata. Questo spiega che c’è una bella differenza fra un trentenne che si dedica prevalentemente allo studio della scienza dello spirito e lo stesso uomo che a sessant’anni continua ancora a fare la stessa cosa, a “studiare” la scienza dello spirito chiuso nella sua stanzetta. In questo caso potrà chiedersi come mai questa scienza non ha generato la forza necessaria per diventare di anno in anno sempre più capace di agire nella vita, come è nella sua natura.

In queste conferenze Rudolf Steiner sottolinea ripetutamente che il futuro dell’umanità dipende in tutto e per tutto dal fatto che ci sia o meno “un numero sufficiente di persone” che, con coraggio e senso di responsabilità, prendano sul serio questi due compiti: la formazione di una coscienza individuale attraverso lo studio, e la realizzazione degli ideali della “triarticolazione” in tutti i campi della vita.

Al termine dell’ultima conferenza Rudolf Steiner suggella ancora una volta tutte le sue riflessioni col pensiero: tutto dipende dal singolo individuo. Nell’umanità odierna le autorità non hanno futuro. L’affermazione secondo la quale “gli uomini” – gli altri – non sono maturi per queste idee e per queste azioni non è altro che un pretesto del potere patriarcale e autoritario. Steiner sostiene che gli esseri umani maturano più in fretta proprio se non ci si stanca mai di dar voce a ciò che ogni singolo individuo non solo è in grado di fare, ma nel suo intimo fortemente vuole.

Non è forse estremamente sintomatico che tutte le edizioni di queste conferenze pubblicate finora (Eymann 1948/49, Boos 1950, Opera omnia 332a 1977, HDD 2004) abbiano omesso, semplicemente cancellato, proprio i pensieri conclusivi dell’ultima conferenza? Questo fatto mi sembra un sintomo eloquente della gravissima omissione che perdura ormai da quasi un secolo. Si tratta proprio dell’omissione di quello a cui Rudolf Steiner sprona di nuovo nelle sue parole conclusive: continuare a proporre a tutti ciò che è sano e necessario per l’individuo e per la società, metterlo a disposizione di tutti, ricordarlo a tutti e stimolare ed incoraggiare ognuno in questa direzione.

Cosa accadrebbe se, solo in ambito germanofono, o di lingua italiana, con cadenza settimanale centinaia di migliaia di piccoli “gruppi di lavoro” si mettessero a studiare, a sviscerare queste conferenze, a discuterci e a litigarci sopra, ad approfondirle in tutte le direzioni e a sperimentarle con coraggio nella vita? La nostra società resterebbe così com’è anche se uno o due milioni di persone si dedicassero ad assimilare queste idee interiormente e più ancora a farne linfa vitale della loro esistenza quotidiana? Questa pubblicazione non intende solo porre rimedio ad un’omissione, ma vuol essere più di tutto l’espressione della fi ducia nell’esistenza reale di “un numero sufficiente di persone” che non solo possono salvare il futuro dell’uomo e della Terra, ma lo vogliono anche fare.

 

Pietro Archiati
nella primavera del 2006

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Presentazione

  • : Blog di creativefreedom
  • : Musicista, scrittore, studioso di ebraico e dell'opera omnia di Rudolf Steiner dal 1970 ca., in particolare de "La filosofia della Libertà" e "I punti essenziali della questione sociale" l'autore di questo blog si occupa prevalentemente della divulgazione dell'idea della triarticolazione sociale. http://digilander.libero.it/VNereo/
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