“Una diversa e corretta emissione della moneta sposterebbe l’asse dei rapporti
umani con il potere ad un livello tale che anche i rapporti familiari (figli-genitori ad esempio, moglie-marito) risulterebbero profondamente mutati” - scrive Massimo Francese nel suo commento
alla pagina “Sul concetto nuovo di proprietà e sul diritto nuovo di epicheia” di questo blog - “: i figli potrebbero gestire la loro vita in modo molto più
libero, lasciando il nido molto prima, e senza dipendenze e ricatti da subire. Una moglie potrebbe liberarsi senza problemi di un compagno senza temere per il proprio mantenimento. Tutto questo
grazie anche all'introduzione del RDB (Reddito Di Base) reso più facilmente realizzabile e logico grazie ad una diversa emissione monetaria. Il mondo del lavoro muterebbe profondamente e in
positivo. Ma, c'è un ma”, continua Francese, domandandosi: “La maggioranza è disposta a vivere in un mondo migliore senza pecore e pastori, rispondendo a se stessi in primis?” E conclude:
“Bisogna far crescere buone idee, diffonderle e confrontarle, e a questo servono blog come questo”.
Certamente Massimo Francese, che ha una ventina d’anni meno di me, vorrebbe
subito la triarticolazione sociale, perché ha capito che quella dell’armonizzazione dei poteri è davvero l’unica via da seguire. Vorrei però dirgli di non dispiacersi se in questa vita non vedrà
nulla di tutto questo. Massimo, ricordati del “Il sabato nel villaggio”: noi viviamo in quel sabato, il giorno che viene prima della domenica! E
proprio perché il sabato è sabato e non è ancora domenica non si ha il pensiero angoscioso del lavoro per cui la festa della domenica in fin dei conti, con quel pensiero è già rovinata. Noi
lottiamo affinché la domenica non sia rovinata da quel pensiero angoscioso del lavoro-schiavitù. E un giorno qualcuno potrà dire a Leopardi: “O
Giacomo, è finita! L’angoscia ed il terrore del lavoro da schiavi è finito…”.
In verità, nella mia vita di suonatore, non ho mai avuto quell’angoscia ed,
anzi, per me il giorno di lavoro, cioè la serata, è sempre stata piena di felicità e di applausi (una volta presi anche dei fischi perché avevo dimenticato il testo della canzone che stavo
cantando e ci facemmo delle risate!). Comunque mi sono sempre considerato un privilegiato grazie al mio lavoro. Però, invecchiando, ho considerato sempre di più il fatto che i miei simili non
erano e non sono così privilegiati. In tal modo mi sono avvicinato allo studio della triarticolazione prima e dell’epicheia poi.
E voglio appunto dire qualcosa sulla separazione del lavoro dal
reddito.
Ho spiegato molte volte che se non si osserva dove porta l’avversione per
l’idea steineriana della separazione del lavoro dal reddito, colui che si propone come attivista in movimenti sedicenti liberatori dalla schiavitù di Stato, di fatto si fa perpetuatore di
schiavitù, perché realizzandosi questa sua liberazione si cambia solo padrone: non è più lo Stato a fare da schiavista, ma il mercato. E allora cosa cambia? Nulla.
La liberazione dall’obbligo del lavoro è la principale
esigenza del nostro tempo.
Chi l’avversa si rende cieco di fronte al fatto che in questa avversione
ragiona da primitivo, come nell’ottocento, quando nasceva l’industria.
Oggi che l’industria tradizionale si è trasformata in industria finanziaria,
perché il lavoro è prevalentemente svolto dall’automazione e non c’è più bisogno di industriarsi come prima per lavorare, l’avversario del RDB cosa fa? Assolutizza la proprietà, rifiutando di
vedere che l’unico vero raggiungimento del nuovo millennio, auspicato fra l’altro già a partire dagli anni sessanta è, appunto, la liberazione dall’obbligo del lavoro.
Si badi bene: non dico liberazione dal lavoro ma dall’obbligo del lavoro.
La concreta possibilità di attuazione di un
sostentamento proveniente non più dal lavoro ma da altra fonte è stata promossa da Rudolf Steiner non come una sua invenzione ma come il risultato dell’osservazione dello spirito del tempo, che
ora ogni uomo può fare individualmente, ma che al tempo di Steiner era davvero difficile vedere chiaramente. La chiaroveggenza di Rudolf Steiner oggi è alla portata di tutti (ovviamente di tutti
coloro che credono in se stessi fino in fondo più che alle regole da imporre agli altri), ma allora non era così. Perché che le macchine lavorassero al posto dell’uomo era solo il sogno
dell’uomo…
Non c’è dunque bisogno di alcun gruppo, crocchio, partito o associazione per
accorgersi che proprio grazie ai nuovi raggiungimenti tecnologici dell’automazione del lavoro abbiamo la possibilità di tale nuovo sostentamento.
Il non accoglimento di tale sostentamento, di fatto rende l’uomo ancora più
schiavo di prima.
Quindi siamo ancora daccapo: prima l’uomo faticava per il duro lavoro ma almeno
esisteva come lavoratore, oggi fatica addirittura ad esistere perché quel sogno di far lavorare le macchine si è avverato e il lavoro non c’è più! È il più grande paradosso del mondo,
questo!
Assolutizzando la credenza che sia giusto che chi produce sia proprietario di
ciò che produce, l’avversario del RDB ritiene che la terra non sia di tutti ma solo di chi lavora. Ma costui non vuole o non è in grado di ragionare sui fatti concreti della realtà?
Si prenda per esempio un portachiavi in ferro battuto. È un prodotto semplice
derivante dal lavoro.
Che sia proprietà del fabbro che lo ha prodotto, lo potrà
affermare per esempio un bambino, o chi astrae e rimuove da questa affermazione il fatto - di cui il fabbro è ben consapevole - che tale portachiavi “appartiene” anche al fornitore da cui il
fabbro ha acquistato la materia prima, il ferro e il bruciatore a gas per scaldarlo e plasmarlo, nonché ai minatori da cui il fornitore ha acquistato ferro, e così via, e a tutti coloro che in un modo o
nell’altro hanno partecipato alla creazione di quel portachiavi secondo i presupposti della divisione del lavoro nella quale tutti siamo coinvolti.
Certamente in astratto io sono proprietario di quello che compro ma quello che
pago per avere il ferro grezzo è nulla in confronto all’impiego di ciò che è stato necessario per ricavare dalla miniera il ferro: la tuta del minatore, il suo lavoro, il trasporto del materiale,
ecc., tutti elementi anch’essi bisognosi in concreto di altri lavori (divisione del lavoro) al fine della loro e mia esistenza. A me fabbro o forgiatore di piccoli oggetti rimane poi solo una
briciola del valore di quel portachiavi, e so che dovrò scambiare quella briciola col macellaio, col panettiere e col sarto in cambio di tutti quegli altri beni che costituiscono l’autentico
tessuto, o involucro, del mio esistere nello spazio e nel tempo. Oltretutto, pagherò questi beni più del loro valore, perché anche gli altri commercianti dovranno soddisfare le richieste dei
rispettivi lavoratori e creditori coinvolti nel loro e nel mio sostentamento.
Tutti i passaggi di questo ragionamento sfuggono al teorizzatore della
proprietà assoluta, il quale non si rende conto che non vi è nulla di assoluto nel mondo (assoluto = ab-soluto = disciolto, staccato dal resto del mondo).
Altro esempio più immaginativo: se un gigantesco re del mondo stringesse in una
mano una corazzata e domandasse al più saggio degli uomini chi l’ha costruita e a chi dovrebbe appartenere, delle due l’una: il più saggio degli uomini ammutolirebbe, oppure direbbe che Dio è il
costruttore supremo, e che tutto dipende dunque da lui? (un esempio simile lo fece G. Bernard Shaw nel suo”Preface on the Prospects of Christianity” del 1916, trad. it.”Sia fatta la sua volontà”,
Milano, settembre 2011).
Ma poniamo che a qualcuno dia fastidio parlare di divinità, e che non si debba
parlare del creatore del mondo. Si potrebbe allora domandare: come fa una moltitudine di persone, ciascuna delle quali lavori assolutamente per se stessa, a costruire una nave, o un aereo, o una
centrale elettrica?
Non potrebbe farcela! “Gnafà”, direbbe un mio amico.
- Primo, perché
perfino per realizzare un panino il panettiere non ce la farebbe mai se dovesse per se stesso prima arare il campo in cui seminare il grano e costruire un mulino per
macinarlo.
- E secondo perché
lavorare assolutamente per sé significa avere un compenso che in sé non potrebbe mai bastare a compensare tutti coloro che dovrebbero lavorare a tali realizzazioni.
Questo significa che, fin dalla sua origine, il credito capace di compensare
ogni essere umano è accresciuto dall’incremento della cooperazione di tutti.
Cosa significa questo allora?
Significa che il credito (intendo per credito il diritto ad una prestazione
futura) aumenta con l’organizzazione dei nativi della nazione. Detto in soldoni: i soldi aumentano con l’organizzarsi dei soci dell’organismo sociale.
In tal senso ogni credito è un prodotto nazionale (da non confondere con “statale”) e ciò vale anche per il credito personale avuto come prestito, dato che la
responsabilità personale è una delle componenti del credito concesso a qualcuno, e in genere lo si concede fidando nella buona fede e nelle buone intenzioni del debitore, cioè sulla sua volontà
di restituire la somma ricevuta.
Se si considera che tale restituzione dipende poi anche dalle condizioni
ambientali e dal mantenimento dell’ordine pubblico, è chiaro che il credito personale è un prodotto nazionale (nel senso di cosa realizzata dai nativi di un luogo o nazione, oppure sociale nel
senso di cosa realizzata dai soci di tutto l’organismo sociale in cui essi vivono).
Il caos sociale che stiamo vivendo non avrà mai fine finché non incominciamo a
conoscere la terra come luogo dei nativi, cioè di proprietà dei terrestri.
La terra è di tutti.
Coloro che lo negano, credono che la terra appartenga non a tutti ma a pochi.
E, ovviamente, essi vorranno collocarsi fra quei pochi.
Grazie alla divisione del lavoro costoro, producendo ognuno un pezzo di
meccanismo - chi una vite, chi una rotella, chi una conduttura elettrica ecc. - per il funzionamento dei macchinari, non si accorgono di avere creato, lavorando tutti non per sé ma per tutti gli
altri, mezzi automatici di produzione di quelle stesse viti, rotelle, schede elettroniche, vale a dire macchine che producono macchine senza mano d’opera umana.
Non accorgendosi di ciò non riescono nemmeno ad accogliere il modo di ragionare
del nuovo testamento, nuovo modo di pensare, e nuovo paradigma di pensiero: guardate i gigli del campo…
E la famosa parabola dei talenti? “A uno diede cinque talenti, a un
altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità”. Non tutti infatti nascono con gli stessi talenti per lavorare la terra.
In altre parole ogni essere umano è uguale per la legge divina ma è diverso per
i talenti che ha: uno ha il talento del lavoro nei campi, un altro lo ha per dipingere chi lavora nei campi, un altro ancora per creare sonetti sul lavoro nei campi, e così via. Questi diversi
talenti possono essere coltivati nella libertà di ognuno.
Cosa dice l’uguaglianza?
Dice che ognuno deve godere dei medesimi diritti di cui godono gli altri. Qui siamo nel campo della giustizia.
Cosa dice la libertà?
Dice che ognuno è libero di coltivare i talenti che vuole. Qui siamo nel campo della cultura.
Cosa dice la fraternità?
Dice che ognuno lavora per gli altri, e qui siamo nel campo dell’economia più autentica, quella proveniente dalla sua propria etimologia.
In sintesi il ragionamento è di una semplicità estrema: la terra è del Padre.
Il Padre ama tutti i figli suoi in uguale misura. Dunque vuole che un pezzo di questa sua terra sia di ciascuno. Poiché però vi saranno alcuni che possiedono anche le cose degli altri e alcuni
che non possono disporre delle proprie, questi ultimi rimangono in credito, mentre gli altri rimangono in debito.
Con un RDB incondizionato elargito dall’organismo sociale ad ogni suo socio
dalla nascita alla morte, ciò non succederebbe, in quanto l’organismo sociale risarcirebbe ognuno, appunto, attraverso tale reddito incondizionato. L’individuo dovrebbe dunque avere questo
diritto, naturale in quanto tutta la terra dovrebbe essere considerata naturale proprietà di tutti i terrestri. Sento già bestemmiare gli avversari di questo ragionamento cristiano (cioè UMANO),
che vogliono l’impero del disumano… Ma lasciamo perdere.
Nell’ipotesi possibile che il socio di un organismo sociale riceva
dall’organismo sociale un reddito di fondo incondizionato dalla nascita alla morte, cosa succederebbe? Si verificherebbe che nella sua serie di conti egli resterebbe “in dare”. Invece l’organismo
sociale resterebbe “in avere” in quanto gli conferirebbe tale reddito.
Il sistema di scrittura contabile che permette di registrare spostamenti di
valori simultaneamente in due serie di conti al fine di rilevarne il dare e l’avere reciproci è detto infatti “partita doppia”. Non è difficile da capire: se mi dai dei soldi o
mi offri una quantificabile prestazione di lavoro, tu rimani “in avere”, mentre io “in dare”.
Quando ti restituisco i soldi o il compenso dovuto, i conti chiudono a zero.
Perché sommando tutto il “dare” e tutto l’”avere” la dinamica della partita doppia esige che si chiuda sempre a zero.
Dunque, anche senza parlare di Dio o del gigantesco re del mondo (quello che
nell’esempio di prima stringeva in una mano la corazzata), la cosiddetta partita è doppia vedrebbe da un lato la terra che è di tutti, e dall’altro coloro che la sfruttano schiavizzando gli
altri.
Dove conduce il riconoscimento che i beni del creato attualmente fuori da ogni
proprietà e sovranità (risorse minerarie di fondi oceanici o della luna, Antartide, bacini idrici, orbite satellitari per le telecomunicazioni, ecc.) valorizzati dalle tecnologie avanzate, sono
di pertinenza comune? Conduce all’ipotesi che coloro che li sfruttano e li commercializzano siano in debito verso tutti gli altri.
Anche da questo punto di vista, la creazione di un RDB per la perequazione di
quel debito e per lo sviluppo - mediante i proventi dei canoni di concessione dei beni di pertinenza comune - potrebbe non solo far uscire l’umanità dall’attuale usurocrazia, ma decondizionare
ogni individuo dall’obbligo di lavorare per vivere.
Quindi non si tratta del dono ai poveri per filantropia o per collettivismo
buoni stico ma di denaro di donazione, che deve tornare (già Seneca affermava: “Ciò che dai all’altro non lo presti, ma lo
restituisci”: “De beneficiis”,5,1,4) a essere elemento centrale della vita economica, così come è stato spiegato da Rudolf Steiner nei cicli di conferenze su “I capisaldi
dell’economia”, “Seminario di economia”, “Esigenze sociali dei tempi nuovi” e nel libro “I punti essenziali della questione sociale”, in cui è spiegata la triarticolazione dei soldi
nelle tre forme essenziali di acquisto, prestito, e donazione.
Ripeto: Steiner, profeta nell’avere anticipato l’incapacità governativa e
parlamentare di limitare il potere del denaro a corso legale, aveva assegnato già nel 1920 l’organizzazione del denaro (monetaggio) alla sfera economica e non a quella giuridica: “[...] non sarà
più l’amministrazione statale che dovrà riconoscere il denaro come mezzo legale di pagamento, ma questo riconoscimento dovrà fondarsi su misure emanate dai corpi amministrativi
dell’organizzazione economica, perché in un sano organismo sociale il denaro non può essere altro che un assegno su merce prodotte da altri [...] (R. Steiner, “I punti essenziali della questione
sociale”, cap. 3, Ed. Bocca).
Il fenomeno delle tante valute locali o complementari che nascono nella sfera
economica da associazioni di imprese è la conferma di questa affermazione, che sarebbe da discutere e da trattare sul mercato, nelle associazioni, nelle cooperative e non nel parlamento. Le nuove
piccole valute complementari o locali favoriscono l’economia (da nomòs), e ogni indagine fatta sull’effetto sociale delle valute locali conferma che queste rinforzano le comunità in cui circolano
e sono accettate. Invece il monetaggio tradizionale favorisce l’”econòmia” con l’accento sulla seconda “o” (da nòmos) favorendo innanzitutto la legge della speculazione. Bisognerebbe incominciare
a vederlo!
Si tratta di prendere coscienza che se si vuole un’economia che non sia
anticapitalista ma che sia diversa dal capitalismo egoistico, occorrono nuove fondamenta fra cui, appunto, il dono come era concepito nei tempi antichi, non più ovviamente nella coscienza
sognante di allora ma nella coscienza in stato di veglia dei tempi attuali.
Oggi la gente crede di avere in banca i soldi che risparmia,
senza la minima consapevolezza che tale specie di denaro si chiama, in senso scientifico e spirituale, “denaro di prestito”, specie diversa da quella detta “denaro
d’acquisto” e dall’altra denominata “denaro di donazione”.
Proprio per questa credenza, che dai tempi dei tempi (e
soprattutto oggi) imperversa per assenza di giudizio critico (pensiero debole) nelle persone, le persone sono turlupinate.
Ciò nonostante, i turlupinati accettano come cosa buona e giusta l’ideologia
del”tasso”! IDEOLOGIA DEL TASSO? Sì, dell’usura dormiente nella specie animale (come il”tasso” animale, appunto). Ebbene, chi dorme nella propria specie animale rifiuta di farsi individualità ed
ama essere ancorato alla bestia, o tutt’al si eleva al mero livello canino del”lupus” secondo il noto adagio”homo homini lupus”. In tal modo, imbestialito, latrante e rabbioso, accetta la
legalità del pizzo (pagabile per avere un utile prestito) e del conseguente “spread”, mega-neologismo (anzi orwelliano neolinguismo) il cui significato è “margine”,”guadagno”, ottenuto dal “far
la cresta” al prezzo dei soldi da vendere a qualcuno, così che il venditore facendo la cresta sulla sua merce, rende iniquo il mercato del prodotto, vale a dire il monetaggio, che produce
materialmente quella carta detta cartamoneta.
Anticamente lo “spread” era detto”signoraggio”. Sono l’unico ad avere detto
questo nel web. Perché? Sarò anche matto, ma per me le cose stanno così: lo spread è il nuovo Duce, solo che nessuno lo vede e tutti si accodano,
come cani appunto, a questa imbecillità. E poiché lo stile gattopardiano vuole che tutto cambi affinché non cambi nulla - o che cambi la maniera ma non la sostanza del rubare o del far la cresta
a un costo, a un prezzo, ecc. - oggi il “signoraggio” è detto”spread” in quanto il “signore”, la “signoria” e il predominio dell’uomo sull’uomo sono sostituiti da un altro dominatore o signore
invisibile detto “democrazia”!
La cresta fra le obbligazioni (bond) e i buoni pluriennali (btp) di un tesoro
che fra l’altro non c’è, la cresta fra il “denaro” (che gli intermediari finanziari detti “market maker” sono disposti a comprare) e la “lettera” (che gli stessi sono disposti a vendere), e la
cresta fra il costo di produzione delle banconote (carta e stampa) e il loro valore facciale, cos’altro sono se non espressioni della dinamica principale dell’usurocrazia, scambiata oggi per
democrazia in un mondo rovesciato come quello attuale?
In un simile mondo rovesciato, dovrete svegliarvi prima o poi. Sarete costretti
a svegliarvi se non volete continuare a sopravvivere da cani in questo film del terrore…
Mi accorgo che queste ultime cose le ho dette e stradette... Abbiate pazienza... Repetita iuvant. Ma sono sicuro che prima o poi le diranno anche le
pietre.